Ugo Foscolo

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Pode61
00lunedì 17 aprile 2006 13:36
Inauguro questa sezione con una delle sue poesie più dolci, più pregnanti perché contiene già tutto il Foscolo famoso delle poesie per il fratello, per il padre (forse ce n'è una più bella di "In morte del fratello Giovanni"), dei Sepolcri e delle Grazie (fin troppo gioiose, ma cosparse di immagini sul dolore dell'esistenza), eppure è solo del 1797, una poesia giovanile tra le più accorate sulla situazione dell'anima disperata dell'uomo circondato dal dolore della vita, dalla malinconia dell'esistenza triste, dell'uomo che spera nella morte come unica sua possibilità di pace.

AL SOLE


Alfin tu splendi, o Sole, o del creato
Anima e vita, immagine sublime
Di Dio, che sparse la tua faccia immensa
Di sua luce infinita! Ore e Stagioni,
Tinte a vari color danzano belle
Per l'aureo lume tuo misuratore
De' secoli, e de' secoli scorrenti,
Alfin tu splendi! tempestoso e freddo
Copria nembo la terra; a gran volute
Gravide nubi accavallate il cielo
Empian di negre liete, e brontolando
Per l'ampiezza dell'aere tremendi
Rotolavano i tuoni, e lampi lampi
Rompeano il bujo orribile. - Tacea
Spaventata natura; il ruscelletto
Timido e lamentevole fra l'erbe
Volgeva il corso, nè stormian le frondi
Per la foresta, nè dall'atre tane
Sporgean le belve l'atterrita fronte. -
Ulularono i venti, e ruinando
Fra grandini, fra folgori, fra piove
La bufera lanciosse, e riottoso
Diffuse il fiume le gonfie e spumose
Onde per le campagne, e svelti i tronchi
Striderono volando, e da’ scommossi
Ciglion dell'ondeggianti audaci rupi
Piombàr torrenti, che spiccati massi
Coll'acque strascinarono. Dal fondo
D'una caverna i fremiti e la guerra
Degli elementi udii; Morte su l'antro
Mi s'affacciò gigante; ed io la vidi
Ritta: crollò la testa e di natura
L'esterminio additommi. - In ciel spiegasti,
O Sol, tua fronte, e la procella orrenda
Ti vide e si nascose, e i paurosi
Irti fantasmi sparvero.... ma quanti
Segni di lutto su i vedovi campi,
Oimè, il nembo lasciò! Spogli di frutta,
Aridi, e mesti sono i pria sì vaghi
Alberi gravi, e le acerbette e colme
Promettitrici di liquor giocondo
Uve giacciono al suol; passa 1'armento
E le calpesta; e istupidito e muto
L'agricoltore le contempla e geme.

Intanto scompigliata, irta e piangente
Te, o Sol, ripriega la Natura, e il tuo
Di pianto asciugator raggio saluta;
E tu la accendi, e si rallegra e nuovi
Prometto frutti e fior. Tutto si cangia,
Tutto père quaggiù! Ma tu giammai,
Eterna lampa, non ti cangi? mai?
Pur verrà dì che nell'antiquo vòto
Cadrai del nulla, allor che Dio suo sguardo
Ritirerà da te: non più le nubi
Corteggeranno a sera, i tuoi cadenti
Raggi su l'Oceàno; e non più l'Alba
Cinta di un raggio tuo, verrà su l'Orto
Ad annunziar che sorgi. Intanto godi
Di tua carriera: oimè! ch'io sol non godo
De' miei giovani giorni: io sol rimiro
Gloria e piacere, ma lugubri e muti
Sono per me, che dolorosa ho l'alma.
Sul mattin della vita io non mirai
Pur anco il Sole; e omai son giunto a sera
Affaticato; e sol la notte aspetto
Che mi copra di tenebre e di morte.

[Modificato da Pode61 17/04/2006 13.38]

Pode61
00lunedì 17 aprile 2006 13:44
Frammento delle Grazie, parte Terza, descizione del velo delle Grazie: una madre veglia il figlioletto: spero che questa immagine ve ne ricordi una simile altrettanto accorata e colma di disperazione....

E pinta il lembo estremo abbia una donna
Che con l'ombre i silenzi unica veglia;
Nutre una lampa su la culla, e teme
Non i vagiti del suo primo infante
Sien presagi di morte; e in quell'errore
Non manda a tutto il cielo altro che pianti
Beata! ancor non sa come agli infanti
Provido è il sonno eterno, e que' vagiti
Presagi son di dolorosa vita.
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