Il profumo delle tradizioni...

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Nina§
00martedì 26 settembre 2006 11:18
Mi ha affascinato quedto racconto su una stagione che è in fondo una piega della nostra anima....


Gli spazi della memoria (Testo di Maria Concetta Nicolai)

La luce declinante, la campagna distesa nel silenzio, una malinconia persa

lungo l’estremo filo dell’orizzonte rendono l’autunno la stagione più spirituale dell’anno.

Stagione di riletture agresti, di un andare per la campagna, nella appena accennata ricerca dell’ultimo frutto, quello che pende preziosamente, tra le foglie gialle.

"Nell’autunno par che il sole e gli oggetti sieno d’un altro colore, le nubi di un’altra forma, l’aria d’un altro sapore. Sembra assolutamente che tutta la natura abbia un tuono, un sembiante tutto proprio." Così Leopardi, poeta di malinconie sublimi vedeva questa stagione di luci trasparenti e declinanti, di spazi allargati vieppiù dal silenzio, di storie perse al limitare del bosco.

Ai tempi della mia infanzia la borghesia di provincia, inurbata nella città, ritrovava la propria dimensione terriera e tornava in paese per presiedere alla vendemmia e alla raccolta delle olive, due operazioni che allora, per una ritualità ancora percepita, sembravano essere restate di interesse padronale.

Si riapriva la casa di famiglia, gli uomini, per lo più professionisti o funzionari dello Stato, si concedevano una sosta alle abituali attività e i bambini facevano vacanza a scuola. Si tornava in paese per i Morti; era questa l’espressione per indicare un’annuale pausa alla vita cittadina. Per me era l’occasione di scoprire una scansione temporale diversa, un modo di vivere altro che sentivo mio per una lontana origine e tuttavia constatavo irrimediabilmente distante. Sul far dell’alba, gli occhi incollati alle travi del soffitto, imparavo a riconoscere le voci che si alzavano dalle colline e dai casali spersi in fondo all’orizzonte ancora umido e scuro: il passo chiodato dei cacciatori sull’acciottolato della via, lo scalpiccio della canea al seguito, il canto lontano di un gallo, gli usci dei fondaci aperti e richiusi come un alito segreto e poi, su tutto, il campanone che annunciava la prima messa.

Quello era il segnale: se avessi voluto andare in campagna con il nonno, mi sarei dovuta alzare senza indugi. In cucina mi aspettavano gli odori dell’autunno: l’orzo abbrustolito, le melecotogne calde sotto la brace, in un angolo dell’immenso focolare appena rassettato, e il pane sul mantile giallo e turchino della mensa.

Per le strade già ferveva l’animazione dei preparativi: chi aveva concluso la vendemmia e la pigiatura si apprestava alla raccolta delle olive e alla conserva dell’olio. La grandezza e il numero delle botti e degli orni era la misura della ricchezza familiare, così che non era raro incontrare sull’uscio spalancato della cantina, insieme agli operai, il padrone di casa affaccendato e orgoglioso.



Tra gli odori nuovi e acri mi sembrava di riconoscere quello dolce del mosto cotto che una volta avevo intravisto bollire, con un certo mistero, negli immessi caldai di rame. Poi di colpo, subito dopo le ultime case, si alzava il giorno pieno. Dalla strada bianca costeggiata dai filari gialli delle vigne, ormai spoglie, guardavo le zolle aperte dalla recente aratura, nere e inquietanti come il terrificante maleficio che avrebbe colpito chi le avesse calpestate per violare il campo altrui.

Il nonno era parco di parole, ma ogni tanto accennava al nome di un albero, di una contrada affacciata sulle colline o al nome della famiglia di cui attraversavamo le proprietà e al suono della sua voce, per quanto rara e pacata, spesso si alzava dalle siepi un volo improvviso e fugace. Il cammino verso il trappeto non era lungo e prima che la strada cominciasse a pesarmi eravamo arrivati ad un grande fabbricato bianco, freddo e rumoroso con un via vai di uomini affaccendati a scaricare sacchi e a trafficare intorno alla macina. Consapevole di essere stata ammessa in un luogo a molti precluso, accettavo di starmene in un angolo, contenta di osservare senza porre domande fino a quando dalle stanze di sopra non scendeva una donna vestita di grigio, silenziosa e odorosa di mele, come quelle che mi avrebbe condotto a mangiare in una sala vasta e luminosa, dove i frutti stavano stesi per terra, su certe tele di sacco.

Per un giorno c’era il dolore composto dei Camposanti. Dei lumi, lasciati alla finestra al precoce imbrunire, uno per ogni anima cara, del salmodiare dei mendicanti che bussavano di porta in porta, ripetendo il monito del Giorno dell’ira e del Giudizio universale. La famiglia, dopo la cena e le ultime visite dei parenti, lasciava un angolo imbandito per le Ombre affettuose che la notte sarebbero tornate e mandava i piccoli a dormire con un cartocetto di fave dolci e confetti, affinché continuasse la memoria e il sentimento di appartenenza tra le nuove generazioni e quelle passate.

Oggi credo che non usi più riaprire le case per i Morti, che la vendemmia e la raccolta delle olive siano un fatto di cooperazione impreditoriale, che presta attenzione alle regole di produzione e di mercato, e che probabilmente, i frantoi siano tutt’altra cosa dal trappeto della mia infanzia: ma pure l’autunno, con quel tanto di brumoso silenzio nordico che sembra scendere nelle latitudini mediterranee, con la traccia dei riti celtici e longobardi di tante tradizioni rurali, resta la stagione migliore per riscoprire la campagna.

La villegiatura si chiama agriturismo ed ha nuovi tempi compresi in un fine settimana o, ancora meno, solo in una domenica. Gli itinerari, amplificati dal nuovo indirizzo assunto dal lavoro agricolo, sono molteplici e certamente più confortevoli di un tempo. Ma il piacere di camminare lungo le strade interpoderali, di riscoprire, oltre il condizionamento letterario, il segno dell’aratura recente, il gesto ampio della semina, i colori delle vigne, la curva argentea degli oliveti, è lo stesso.

In campagna l’ora migliore è ancora il tramonto, quando una luce rossa, come mai in un altro mese, disegna sull’orizzonte il profilo della Bella Addormenta e del Gigante. Allora il ritorno a casa acquista il valore della quiete ritrovata, del calore dei sentimenti, la forza della passione che dura tutta la vita.





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