I collaboratori di Papa Benedetto

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Ratzigirl
00giovedì 28 luglio 2005 13:52
Pensavo di postare e discutere qui tutti gli altri articoli che non riguardano in particolare Benedetto XVI ma la Chiesa in Generale, e tutti quegli avvenimenti che in qualche modo possono contribuire a cambiare il volto della Chiesa in positivo ed in negativo....che ne pensate dell'idea?

Ratzigirl
00giovedì 28 luglio 2005 13:55
Don Pino Puglisi, martire moderno
Don Pino Puglisi, martire della violenza mafiosa



La prima certificazione della santità di Pino Puglisi è venuta dal processo penale. «Quel prete dava fastidio per le cose che faceva», ha spiegato chi lo ha ammazzato. E don Pino annunciava il Vangelo e lo metteva in pratica, parlava di salvezza dal pulpito e poi, per strada, in oratorio, a scuola, aiutava la crescita umana dei suoi parrocchiani, a partire dai più piccoli. Un progetto di vita, di speranza, che è entrato in collisione con quello mafioso. Il 13 settembre 1993 viene ucciso in odium fidei, si direbbe in gergo tecnico: con questa espressione, infatti, potrebbe chiudersi l’altro processo, quello di beatificazione, se arriverà a conclusioni simili a quelle tirate nelle aule di giustizia. «Che sia un martire lo dobbiamo dimostrare nel processo in corso. Però certamente è un uomo che, avendo pagato di persona, indubbiamente ha cercato di conciliare molto ciò che era e ciò che annunciava»: monsignor Domenico Mogavero, palermitano, amico di Puglisi, è il postulatore della sua causa. A maggio la positio, la lettura ragionata e dettagliata di tutti gli atti del processo diocesano, è stata depositata presso la Congregazione per la cause dei santi. Cinquecento pagine, più tutti i materiali del processo, che dovranno essere esaminati per giungere a un verdetto sulla santità del prete di Brancaccio. Se venisse accettata la tesi di una eroicità di vita attraverso il martirio, don Puglisi sarebbe subito dichiarato beato, perché in questi casi la prassi non richiede miracoli per accedere agli onori degli altari. «L’impegno di Puglisi lo ha collocato sulla frontiera dell’identità sacerdotale e dell’autenticità della sua missione», aggiunge Mogavero. «È profondo il nesso di questa coerenza esistenziale: ha dato valore, attraverso ciò che era, a ciò che andava annunciando. In questi mesi, mentre stiamo preparando il quarto Convegno delle Chiese di Italia, penso che l’attualità di Puglisi sta proprio nei termini di "Testimone del Risorto, speranza del mondo", come dice lo slogan di Verona. Avendo pagato di persona, Puglisi ha convalidato con la sua esistenza ciò che predicava; ha annunciato Gesù Cristo, perché l’unica luce possibile a Brancaccio è il Risorto; e lo ha annunciato alla sua gente come speranza per la storia di oggi, intrisa di mille contraddizioni, difficoltà, debolezze». Il convegno del 2006 sarà fatto anche di memoria di testimoni recenti. «Chissà se qualcuno presenterà anche padre Puglisi», si chiede Mogavero. Un testimone che rende attuale l’immagine del martire: «Il suo è un martirio che nasce da un’inconciliabilità non verificata sulla base di una disubbidienza a una legge, come poteva essere per gli antichi martiri o per quelli più recenti di nazioni non cristiane, ma decisa a partire da una difforme visione della vita, del mondo, della realtà».

Sihaya.b16247
00giovedì 28 luglio 2005 14:42
Re:

Scritto da: Ratzigirl 28/07/2005 13.52
Pensavo di postare e discutere qui tutti gli altri articoli che non riguardano in particolare Benedetto XVI ma la Chiesa in Generale, e tutti quegli avvenimenti che in qualche modo possono contribuire a cambiare il volto della Chiesa in positivo ed in negativo....che ne pensate dell'idea?




Ottimo!!! Condivido!
Ratzigirl
00giovedì 28 luglio 2005 15:53
Continuano le indagini...
VESCOVO UCCISO IN KENYA: INDAGINI IN CORSO E RICHIESTA AI MEDIA DI NON ANTICIPARE CONCLUSIONI




“Chiediamo ai giornalisti di limitarsi e dare agli investigatori che indagano sul caso la possibilità di trovare i responsabili dell’assassinio del vescovo Locati”. Lo afferma il portavoce della polizia, Jaspher Ombati, in una nota riportata nei giorni scorsi dalla Cisa, Catholic information service for Africa (www.cisanews.org). Il portavoce delle forze dell’ordine, riferendosi all’assassinio di mons. Luigi Locati avvenuto il 14 luglio, ha aggiunto che è importante “rispettare il diritto dell’opinione pubblica a conoscere i risvolti di questa vicenda” ma “è altrettanto importante evitare di giungere a conclusioni che potrebbero essere errate. Ciò, inoltre, potrebbe anche mettere a rischio le indagini che sono ancora in corso”.
Un invito ai media a non trarre frettolose conclusioni sulla vicenda perché se informazioni giornalistiche “hanno già permesso di individuare le responsabilità di alcuni sospetti” occorre tener conto che “le indagini non sono ancora concluse”.
Nei giorni scorsi la Cisa aveva rilanciato l’interrogativo sulle cause del delitto affermando che il vescovo “potrebbe avere dato fastido a qualcuno” per la sua attività a favore dell’istruzione, dello sviluppo, della pacifica convivenza tra diverse realtà religiose, culturali e sociali.

Ratzigirl
00sabato 30 luglio 2005 15:31
Chiesa coreana: un manuale per la corretta devozione a Maria
Il libro sarà pubblicato su iniziativa della Commissione per la dottrina della fede della Conferenza episcopale coreana.



Seoul (AsiaNews) – La Commissione per la dottrina della fede della Conferenza episcopale coreana (Cbck) ha deciso di pubblicare un libro dal titolo “La corretta devozione alla Beata Vergine Maria”, per promuovere un corretto culto mariano. La decisione è giunta in seguito all’incontro del 12 e 13 luglio presso la sede della Cbck.

Il libro è diviso in 5 capitoli: “La storia della devozione alla Beata Vergine Maria”, “La dottrina della Beata Vergine Maria”, “Preghiere e feste di devozione alla Beata Vergine Maria”, “Errata devozione alla Beata Vergine Maria” e “Corretta devozione alla Beata Vergine Maria”. Con questo, verrà chiaramente confermata la contrarietà della Chiesa a esempi di una deviata devozione alla Madonna, come i casi di Teresa di Sanju, Julia di Naju e Nostra Signora di Bayside.

La questione più controversa è quella riguardante Julia di Naju, presunta prima destinataria di una serie di apparizioni mariane e di miracoli partiti dalla cittadina di Naju nel 1985. Le apparizioni e i miracoli hanno raccolto un consistente numero di fedeli, non solo coreani, soprattutto per la supposta trasformazione dell’eucarestia in carne e sangue. Riguardo l’errata devozione mariana della cosiddetta Julia di Naju, mons. Andreas Choi Chang-mu, arcivescovo di Kwangju, e mons. Yoon Kong-hi, vescovo emerito, hanno chiesto che vengano interrotti tutti i riti, nonostante ci siano ancora seguaci. Analogo il caso della Madonna di Bayside, che sarebbe apparsa a New York nel 1974.

Il libro avrà anche lo scopo di spingere il fedeli a rispettare e a mettere in pratica in modo attivo la tradizionale devozione alla Vergine.

La Commissione per la dottrina della fede intende proporre alla Cbck la convocazione di ispettori per esaminare il lavoro dei mass media legati alla Chiesa. La Commissione ha anche suggerito che venga concesso il permesso di intervenire su televisione, radio e giornali solo a quei sacerdoti che abbiano ottenuto l’approvazione dell’ordinario regionale, secondo il codice di diritto canonico e secondo i regolamenti della Chiesa coreana.

La decisione è la conseguenza di alcune segnalazioni di sacerdoti e religiosi che hanno espresso in chiesa e tramite i mass media opinioni contrarie agli insegnamenti della Chiesa cattolica, col rischio di sviare i fedeli.

Ratzigirl
00sabato 30 luglio 2005 15:33
Crisi Israele - Vaticano
Santa Sede: Israele, su Giovanni Paolo II non si può mistificare la storia
"Penosa" la "dimenticanza" dei tanti interventi di papa Wojtyla contro terrorismo e antisemitismo.




Città del Vaticano (AsiaNews) – Non si può modificare la storia. E’ quanto afferma la “nota” del Vaticano nel quale si ricordano alcuni dei moltissimi interventi di Giovanni Paolo II contro l’antisemitismo e le violenza del terrorismo.

“1.Recenti dichiarazioni da parte israeliana – si legge nella nota vaticana - hanno accusato la Santa Sede, e il Papa Giovanni Paolo II in particolare, di non aver manifestato il proprio pensiero nei confronti del terrorismo, che tante volte ha colpito gli abitanti dello Stato di Israele.

Documenti di pubblico dominio fanno apparire tali dichiarazioni come destituite di ogni fondamento. In realtà il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha espresso molte volte e in occasioni di diversa natura il proprio pensiero in merito, sia in riferimento allo Stato di Israele ed ai suoi diritti, sia in riferimento agli obblighi nei confronti del popolo palestinese, nella chiara coscienza che la violenza e il terrorismo non portano alla pace”.

La nota ricorda alcuni degli intefventi di papa “a condanna delle violenze contro i civili e a favore del diritto dello Stato di Israele a vivere nella sicurezza e nella pace. In questo senso Egli si espresse, ad esempio, già nel discorso al Corpo Diplomatico del 12 gennaio 1979 e in quello del 16 gennaio 1982. All'Angelus del 4 aprile 1982 espresse la propria amarezza per i "nuovi dolorosi episodi [che] si sono prodotti in Cisgiordania, con morti e feriti, mentre si è accresciuta l'ansietà e l'insicurezza della popolazione". All'udienza generale del 15 settembre 1982 chiese che fossero abbandonate da ambo le parti le "forme di lotta armata, alcune delle quali sono state in passato particolarmente spietate e disumane".

Il Vaticano ricorda poi che “nella Lettera apostolica Redemptionis anno del 20 aprile 1984, scrisse, per il popolo ebraico che vive in Israele, che "dobbiamo invocare la desiderata sicurezza e la giusta tranquillità che è prerogativa di ogni nazione e condizione di vita e di progresso per ogni società". Tali parole furono ripetute durante l'incontro di Giovanni Paolo II con la Comunità ebraica di Miami l'11 settembre 1987 e con la Comunità ebraica di Vienna il 24 giugno 1988, dove soggiunse che "ricordarsi della Shoà significa anche opporsi ad ogni incitamento alla violenza, e proteggere e promuovere ogni tenero germoglio di libertà e pace con pazienza e costanza".

Tra i tanti interventi ricordati dalla nota c’è quello del 10 ottobre 1990, quando denunciò le violenze in Gerusalemme davanti alle quali "non è possibile rimanere indifferenti e non condannare". Con ferme parole, il 12 gennaio 1991 Giovanni Paolo II disse che "si deve risconoscere che certi gruppi palestinesi hanno scelto, per farsi ascoltare, metodi inaccettabili e condannabili", e che occorre garantire "allo Stato di Israele le giuste condizioni per la sua sicurezza".

Ribadì tale posizione il 15 gennaio 1994, quando auspicò che il dialogo prevalesse sugli estremismi e, l'anno successivo, il 9 gennaio 1995, quando osservò come in Terra Santa "la pace non si scrive con lettere di sangue, ma con l'intelligenza e con il cuore". A pochi giorni di distanza, il 22 gennaio dello stesso anno, Giovanni Paolo II espresse dolore e ferma condanna per il grave atto di terrorismo compiuto a Netanya, e fiducia che tutti vedessero il male e l’inutilità della violenza. Turbato dalla strage del 30 luglio 1997 al mercato di Gerusalemme, il Papa fece diramare una dura nota dalla Sala Stampa, nella quale si affermò che "La Santa Sede deplora questa violenza cieca che semina la morte indiscriminatamente. Non è con questo genere di azioni che si costruisce la pace. Il Santo Padre ha ricordato più volte che la violenza genera soltanto violenza".

“Inoltre, il Papa Giovanni Paolo II, davanti a milioni di persone, nei messaggi Urbi et Orbi, in diversi discorsi alla Curia Romana, nelle catechesi, negli incontri con delegazioni ebraiche ha deplorato nei modi più fermi il terrorismo contro gli abitanti della Terra Santa. Anche nel ricordare gli inalienabili diritti del Popolo palestinese, il Sommo Pontefice ha ripetutamente stigmatizzato con parole inequivocabili l’inammissibilità dei metodi violenti che, mediante atti terroristici perpetrati nei confronti della popolazione civile israeliana, hanno impedito le iniziative di pace poste in atto, lungo i trascorsi cinque lustri, da sagge forze politiche sia israeliane sia palestinesi”.

“Desta penosa sorpresa – è la considerazione del Vaticano - che possa essere passato inosservato il fatto che, nei trascorsi 26 anni, la voce del Papa Giovanni Paolo II si sia levata tante volte con forza e passione nella drammatica situazione della Terra Santa, a condanna di ogni atto terroristico e ad invito a sentimenti di umanità e di pace. Le affermazioni contrarie alla verità storica possono giovare solo a chi intende fomentare animosità e contrasti, e certo non servono a migliorare la situazione”.

Ratzigirl
00sabato 30 luglio 2005 15:35
Suluzioni per la crisi....
P. Jaeger: Israele –Santa Sede, una crisi profondissima, che Sharon può risolvere




Il francescano israeliano, esperto nelle relazioni fra Israele e Santa Sede, denuncia le cause della crisi e suggerisce alcuni passi da fare per Sharon e per la Chiesa.



Tel Aviv (AsiaNews) – Una crisi inaspettata e senza precedenti è scoppiata nelle relazioni fra la Chiesa cattolica e il governo d’Israele. Per capirne di più, AsiaNews ha ottenuto un’intervista con il francescano israeliano p. David M. Jaeger. P. Jaeger, un noto esperto legale nelle relazioni fra Santa Sede e Israele.

Il frate francescano afferma che la crisi profonda fra Israele e Santa Sede ha avuto una causa “banale”: una “falsa crisi”, fatta “scoppiare in modo artigianale” da alcuni funzionari “di basso livello” del Ministero degli Esteri, per nascondere inoperosità e ritardi nel completare l’Accordo Fondamentale fra Israele e Santa Sede.

Secondo il frate, il primo Ministro Sharon - che in passato ha sempre apprezzato la Chiesa Cattolica, Giovanni Paolo II e lo stesso Benedetto XVI – non sapeva nulla di tutta questa messinscena.

P. Jaeger suggerisce al governo Sharon i passi da fare per salvare le relazioni: scuse al Papa e alla memoria di Giovanni Paolo II e ripresa immediata dei negoziati fino a completamento.

Il padre francescano si dice amareggiato che in questi giorni, di fronte alla “propaganda dell’odio” propinata dai membri del Ministero degli Esteri, non vi sia stato in Israele una voce capace di parlare “in lingua ebraica” a nome della Chiesa locale. Egli auspica perciò che cresca sempre di più in Israele un “soggetto ecclesiale” che porti nel mondo israeliano, in lingua ebraica, le preoccupazioni e la visione della Chiesa cattolica, in dialogo con la comunità d’Israele.

Ecco il testo completo dell’intervista a p. David M. Jaeger.



P. Jaeger, come mai questa crisi all’improvviso?

Anche nelle relazioni internazionali capita che grossi fatti nascono da cause molto banali: un funzionario di basso livello del Ministero israeliano degli Esteri non ha fatto i suoi “compiti a casa”, per prepararsi all’incontro con la delegazione della Santa Sede fissata per il 25 luglio. All’ultimo momento aveva bisogno di trovare disperatamente una scusa per cancellare l’incontro: tutto qui.

La storia comincia il 23 agosto 2003, quando il Ministero degli esteri tutt’a un tratto ritira la sua delegazione dai negoziati con la Santa Sede, anche tutti gli appuntamenti futuri e si rifiuta di accordarsi su nuove date. Tutto questo è contrario alle obbligazioni prese da Israele con la firma degli Accordi Fondamentali fra Santa Sede e stato d’Israele: l’articolo n. 10 obbliga Israele a negoziare in buona fede “un accordo completo” sul regime fiscale da applicare alla Chiesa cattolica e sulle proprietà della Chiesa.

Lo stallo in cui si era caduti ha spinto all’azione anche personalità del Congresso e la stessa Amministrazione degli Stati Uniti. In occasione della visita del Primo Ministro israeliano alla Casa Bianca il 14 aprile 2004, Sharon e il suo popolo hanno promesso di riprendere i negoziati con la Santa Sede e di sostenerli per giungere a piena conclusione.

In effetti, i negoziati sono ripartiti nell’estate 2004, ma all’inizio del 2005, alcuni rappresentanti israeliani minori hanno ricominciato a creare difficoltà, rendendo sempre più difficile lo stesso incontrarsi. Ormai, la loro politica – se ne hanno una – è incomprensibile. È stato chiesto loro di mettere per iscritto i loro piani, per capire come rispondere e come programmare una ripresa dei negoziati. Ad un incontro del 15 giugno, essi promettono di preparare un documento scritto per l’incontro seguente, fissato al 19 luglio. Con l’avvicinarsi di questa data, essi hanno fatto capire che non avevano ancora preparato il loro compito e hanno chiesto di ritardare l’incontro al 25 luglio. Ma anche a questa data non erano pronti. Il loro timore è che questa politica di cancellare sempre tutti gli incontri, evitando i negoziati, è incompatibile con le promesse fatte a Washington e potrebbe creare difficoltà all’interno dello stesso governo israeliano. Da qui l’idea di far scoppiare in modo artigianale una falsa crisi il 25 aprile, dopo aver dato un’occhiata veloce all’Angelus di Benedetto XVI su Internet. Per sfuggire alle critiche americane e forse alle critiche dello stesso governo israeliano, dovevano fare un attacco al papa particolarmente feroce, ed è ciò che hanno fatto. Come è stato notato da molti, l’attacco era scritto in grande fretta, pieno di errori di lingua ebraica…

Ma perché attaccare perfino la memoria di Giovanni Paolo II?

Questo è il punto dove le cose sono andate oltre ogni misura. Le obbligazioni del trattato sono state fatte a Giovanni Paolo II, l’amico più grande che il popolo ebraico abbia mai avuto. L’unico modo per giustificare il rifiuto era di attaccare la memoria di questo santo pontefice, che solo poco tempo fa è stato esaltato dal governo israeliano. Sono passate poche settimane da quando il governo israeliano ha diffuso un francobollo commemorativo alla memoria di Giovanni Paolo II, e ha mandato un ministro a presenziare l’inaugurazione del pontificato di Benedetto XVI.

Passerà alla storia questo fatto

Lei dice che gli attacchi al papa sono frutto della mente di alcuni funzionari minori, contrari alla linea del Primo Ministro. É possibile?

Certo. Il Primo ministro in questi giorni era impegnato totalmente con la sua importantissima visita al presidente francese; con le controversie e i drammi attorno al ritiro da Gaza; con le Procura generale che ha accusato suo figlio… Sono certo che egli non è stato informato in nessun modo sullo stupefacente atteggiamento di alcuni funzionari di basso livello del Ministero degli Esteri. Questi hanno tentato di demolire uno degli elementi più importanti nelle relazioni internazionali dello stato d’Israele. Non so cosa potrà fare ora il Primo ministro: se prenderà l’iniziativa di riparare il danno, o se coprirà le malefatte dei funzionari. Ad ogni modo, in passato Sharon ha compreso molto bene l’importanza delle relazioni con la Chiesa cattolica. Lo si è visto dalle sue promesse a Washington sulla ripresa dei negoziati. Ancora prima, è stato lui – incoraggiato dal presidente Bush e da tutti i cristiani del mondo – a cancellare la decisione del suo predecessore(il Primo Ministro Barak), di far costruire una moschea proprio di fronte alla basilica dell’Annunciazione a Nazareth. Il Primo Ministro Sharon ha la possibilità di isolare il funzionario responsabile dell’offesa e riportare in alto il buon nome dello stato d’Israele.

Quali potrebbero essere le mosse del governo per far terminare la crisi?

Va detto anzitutto che la crisi è di proporzioni gigantesche: mai il governo di Israele (o un altro governo del mondo civile) ha lanciato accuse così crude e attacchi così violenti al capo della Chiesa cattolica, sia al pontefice regnante, sia alla memoria del suo immediato predecessore, sia – in qualche modo – a tutta la Chiesa e a tutti i cattolici. Ad ogni modo si potrebbe riparare senza troppe difficoltà. Penso che il capo del governo dovrebbe fare due passi contemporaneamente:

1) una presentazione di scuse piene e senza riserve a Benedetto XVI e alla memoria del santo papa Giovanni Paolo II;

2) un riconoscimento pieno e senza riserve delle obbligazioni verso la Santa Sede prese dallo stato d’Israele con la firma dell’Accordo Fondamentale del 1993. Questo implica una piena adesione ad esso, compreso un’immediata, piena ripresa dei negoziati, esplicitamente richiesti dall’articolo 10 dell’Accordo Fondamentale. Tali passi sono richiesti dal punto di vista morale e legale e hanno la possibilità di riparare all’immenso danno causato dalla superficialità di alcune persone.

P.Jaeger, lei ha speso molti anni di lavoro nel cercare di costruire le relazioni fra Santa Sed e Israele. Come si sente in questi giorni?

Non riesco nemmeno a dire una parola, per come mi sento. Il dolore è davvero grande.

C’è qualcosa d’altro da imparare da questa crisi?

Certo. Questa crisi fa emergere la difficile situazione in cui versa la Chiesa cattolica in Israele: essa non ha alcuna struttura che sia capace e desiderosa di parlare al pubblico ebraico e di prendere parte alle problematiche che si discutono nell’opinione pubblica. Nonostante lai molti volti della presenza della Chiesa in Terra Santa, la Chiesa cattolica è assente dalla società e dalla popolazione israeliana di lingua ebraica. In tutta questa settimana, mentre la propaganda dell’odio veniva diffusa dal ministero degli esteri e da quelli da esso istigati, non c’era nessuno in grado di rispondere: nessuno in Israele, in lingua ebraica, nei media israeliani, di fronte al pubblico israeliano. Il campo è completamente abbandonato

Non conosco un’altra nazione dove la Chiesa è sprovvista allo stesso modo di rappresentanza pubblica, senza nemmeno un addetto stampa, capace e desideroso di impegnarsi nel dialogo con la nazione ebraica, usando la lingua ebraica. Questo è un problema che va risolto in modo stabile, così che in tempi di crisi, sia sempre possibile trovare un portavoce della Chiesa, capace di dialogare e interloquire con i media nazionali.

Si è discusso e scritto per anni sul bisogno di stabilire un soggetto ecclesiale capace di di essere la Chiesa nella nazione israeliana, proprio come la Chiesa, presente in ogni altra nazione, secondo il comando del Signore e l’insegnamento del Concilio Vaticano II.

Questa presenza è di fondamentale importanza anche per ogni altro aspetto della vita della Chiesa in Terra Santa. Essa è nell’interesse di tutte le altre comunità nazionali all’interno della comunità ecclesiale. Ma questo è un discorso che va affrontato più avanti in altre occasioni.

Ratzigirl
00sabato 30 luglio 2005 15:36
Prima mossa
Funzionario israeliano a Washington per riparare la crisi Israele - Santa Sede


Tel Aviv – Fonti interne al Governo israeliano hanno rivelato ad AsiaNews che un funzionario del ministero degli Esteri è stato inviato in fretta a Washington per cercare di riparare almeno in parte i danni all’immagine di Israele e alle relazioni con i cattolici statunitensi causate dal ritiro del ministero degli Esteri dai negoziati con la Santa Sede e dai brutali attacchi verbali a papa Benedetto XVI e alla memoria di Giovanni Paolo II. A quanto si conosce, il funzionario è proprio il sig. Nimrod Barkan, già identificato in precedenza come l’autore degli attacchi al papa. Secondo fonti di AsiaNews, ciò conferma che l’obiettivo dell’intera crisi orchestrata da Barkan è proprio Washington e la necessità di giustificare come mai il ministero degli Esteri non ha rispettato le promesse di andare avanti nei colloqui con la Santa Sede. Il fatto solleva anche serie domande sulla sensatezza nell’aver scelto proprio il sig. Barkan per questa missione.


(AsiaNews)

Ratzigirl
00sabato 30 luglio 2005 15:41
Lettera da Sharm el Sheik
Lettera da Sharm el-Sheikh: la colpa è sempre di Israele


La polemica tra la Santa Sede e Israele ha avuto ulteriori sviluppi.

Nel pomeriggio del 28 luglio, la sala stampa della Santa Sede ha rilasciato ai giornalisti accreditati una nota molto risentita, "circa le dichiarazioni che il sig. Barkan, funzionario del ministero degli esteri d'Israele, ha rilasciato al Jerusalem Post del 26 luglio".

La, nota, accompagnata da un allegato, ricorda le numerose volte in cui Giovanni Paolo II ha condannato gli atti terroristici compiuti contro Israele.

E aggiunge che, se talvolta la Chiesa di Roma ha taciuto, è "per il fatto che gli attentati contro Israele talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale. Sarebbe stato pertanto impossibile condannare i primi e passare sotto silenzio le seconde".

Quest'ultima puntualizzazione pare dar ragione a chi sostiene che il Vaticano adotti nei confronti di Israele un diverso metro di misura, contestando le modalità con cui esso si difende e reagisce agli attentati terroristici.

In ogni caso, che i rapporti tra la Santa Sede e Israele attraversino un momento difficile è provato anche dalla concomitante sospensione dei negoziati tra le due parti per l'applicazione del Fundamental Agreement del 1993.

Il 12 luglio - lo stesso giorno dell'attentato a Netanya che il papa ha omesso di ricordare all'Angelus di domenica 24 con la conseguente protesta di Israele - nel parlamento israeliano, la Knesset, è stato commemorato Giovanni Paolo II.

E nell'occasione ha pronunciato un discorso il nunzio apostolico Pietro Sambi.

"L'Osservatore Romano" del 18-19 luglio ha riportato integralmente il discorso, traducendolo in italiano dall'originale inglese.

Nel discorso, Sambi non ha mancato di lamentare la resistenza di Israele a dar seguito pratico agli accordi:

"Il Fundamental Agreement, ratificato dallo stato di Israele il 20 febbraio 1994 ed entrato in vigore internazionalmente, non è ancora stato incorporato nella legge israeliana dalla Knesset. La stessa cosa va detta del Legal Personality Agreement ratificato da Israele il 16 dicembre 1998 ed entrato in vigore internazionalmente il 3 febbraio 1999. Il cosiddetto Economic Agreement, prescritto dall'art. 10 del Fundamental Agreement, non è stato ancora concluso".

Nello stesso discorso Sambi ha citato ampiamente due passi del messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata della Pace del 1 gennaio 2002, il primo contro "il fondamentalismo religioso" e il secondo contro "il terrorismo nel nome di Dio".

E a proposito di terrorismo islamista e Israele, è interessante l'evidenza data il 29 luglio da "Avvenire", il quotidiano della CEI, alla lettera di un lettore, Giovanni Costa, residente da anni a Sharm el-Sheikh. Il quale scrive tra l'altro:

"Nei paesi arabi moderati e in moltissime comunità arabe nel mondo occidentale assistiamo a una propaganda voluta o tollerata. Nelle moschee, ad esempio, il colpevole di tutto ciò che accade è Israele, il sionismo. A Sharm succede una carneficina: ebbene il colpevole va cercato sempre e soltanto in Israele e nei suoi servizi segreti. Questo da sempre, da anni. Il dramma di questa manipolazione colossale non è solamente nel fatto che i paesi moderati musulmani la tollerano o la desiderano, ma anche nel fatto che colpisce tutte le componenti della popolazione araba: laureati, industriali, commercianti, medici e povera gente. Questa manipolazione aberrante porta l'islam moderato a non cercare mai nelle proprie componenti fondamentaliste le cause di tanti disastri terroristici".

Paparatzifan
00sabato 30 luglio 2005 22:31
Re:

Scritto da: Ratzigirl 28/07/2005 13.52
Pensavo di postare e discutere qui tutti gli altri articoli che non riguardano in particolare Benedetto XVI ma la Chiesa in Generale, e tutti quegli avvenimenti che in qualche modo possono contribuire a cambiare il volto della Chiesa in positivo ed in negativo....che ne pensate dell'idea?



Anch'io sono d'accordo!!!!!
Sihaya.b16247
00martedì 2 agosto 2005 17:14
Israele - I rabbini sono dalla parte del Papa
Israele e Santa Sede. Giù le mani dal papa, ma ora si parli a porte chiuse

di Redazione/ 01/08/2005 www.korazym.org/news1.asp?Id=14087


La polemica tra Israele e Santa Sede assume toni inutili. Tra dissociazioni e volontà di ricucire, prevalgano le ragioni del dialogo (magari lontano dai riflettori), secondo le regole diplomatiche.

La crisi diplomatica tra Israele e Vaticano rischia di impantanarsi. Lungi dall'essere risolta, nelle ultime ore si è arricchita di nuovi particolari. Da una parte, il no comment del ministero degli esteri israeliano sulla nota diffusa dalla Santa Sede, dall'altra la dissociazione clamorosa dalle accuse a Benedetto XVI, da parte dei rabbini statunitensi, rappresentati dalla Pave the Way Foundation. Lo stesso rabbino capo di Israele, Meir Lau invita a dare credito al papa. "Non dobbiamo trasformarlo in un nostro nemico, sarebbe una cosa del tutto ingiustificata", ha detto. Secondo Lau l'omissione di Israele fra i paesi colpiti di recente dal terrorismo potrebbe essere dovuta al fatto che mentre episodi del genere sono ricorrenti nello stato ebraico, destano sensazione quando avvengono in paesi più tranquilli come la Gran Bretagna. Su tutto, le parole del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni: "Io penso che invece che fare dissociazioni sia opportuno che si finisca con questa polemica. Ci sono stati vari rilanci da ambo le parti e ora mi auguro che il silenzio cali su questa vicenda. Che si metta la parola fine".

In fin dei conti, a chi farebbe comodo il duro attacco israeliano al papa, presunto leader indulgente verso i terroristi palestinesi? Certo è che per gli estremisti islamici, la lite - diventata ormai di publico dominio - è dolce come il miele. Nel caso peggiore, la querelle potrebbe pesare come un macigno sulle relazioni tra la Chiesa cattolica romana e gli ebrei, notevolmente migliorate durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Tuttavia, nello scenario la religione ha fatto un passo indietro, a favore di un confronto aspro e squisitamente politico. Del resto, la Chiesa ha fatto i conti con l'antisemitismo in modo definitivo, come dimostra il gesto di Giovanni Paolo II nell'anno 2000, di fronte al Muro del Pianto di Gerusalemme. Nella sua preghiera, il rammarico per le numerose persecuzioni degli ebrei durante le epoche medioevale e moderna. Ciò che il governo Sharon non può sopportare è piuttosto la posizione della Santa Sede sulla politica di forza attuata in Terra Santa. Le critiche di Giovanni Paolo II e ora di Benedetto XVI sono rivolte sia contro il terrorismo palestinese che contro le violazioni nei territori occupati. Dedurre da questa posizione che il papa possa anche indirettamente approvare gli attentati ai civili israeliani è un'idea assurda quanto disonesta. A maggior ragione perché un papa parla a nome del capo della Chiesa che è Cristo, notoriamente ebreo praticante, nato da donna ebrea della casa di Davide.

La Santa Sede ha deciso di rispondere alla polemica attraverso una nota della Sala Stampa della Santa Sede incomprensibilmente dura (non firmata come di consueto da uno dei due portavoce della Santa Sede, Joaquín Navarro-Valls o padre Ciro Benedettini, ma istituzionale, dunque avallata dalla Segreteria di Stato). Un gesto che doveva sdrammatizzare la già difficile relazione con Israele, rispondendo - forse con troppa enfasi, visto che certe posizioni del ministero degli esteri erano emerse soltanto in un'intervista ad un giornale - al fastidioso intervento del governo di Gerusalemme. L'autore ignoto della nota della Sala Stampa della Santa Sede ha provocato tuttavia la stizza di molte persone, tra cui quella autorevole del Rabbino capo della comunità ebraica di Roma, da sempre vicina e dialogante con la Chiesa. Nelle relazioni tra i due paesi regna ora lo stallo, ma è bene che a prevalere siano le ragioni del dialogo (magari a porte chiuse), secondo le regole diplomatiche. Sarebbe fatale e ingiusto, se la storica visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Colonia a margine XX Giornata Mondiale della Gioventù, dovesse mescolarsi ad un'oscura quanto poco spirituale lite bilaterale.
Paparatzifan
00martedì 2 agosto 2005 21:24
Re: Israele - I rabbini sono dalla parte del Papa

Scritto da: Sihaya.b16247 02/08/2005 17.14
Israele e Santa Sede. Giù le mani dal papa, ma ora si parli a porte chiuse

di Redazione/ 01/08/2005 www.korazym.org/news1.asp?Id=14087



I rabbini USA si meritano l'applauso più scrosciante del mondo!!!!!!
YPEEEEEE!!!!!!!
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Ratzigirl
00sabato 6 agosto 2005 17:09
Cercasi maestro d'ebraico per la Chiesa in Terra Santa


In un'intervista ad "Asia News" del 30 luglio, padre David M. Jaeger, da molti anni pivot dei negoziati tra Santa Sede e Israele, oltre a difendere Sharon e ad addossare a funzionari di basso livello del ministero degli esteri israeliano i crudi attacchi dei giorni scorsi al papa (vedi nei post più sotto), fa un'osservazione di grande interesse sulla mancanza di un "soggetto ecclesiale" capace di dar voce nel mondo israeliano, in lingua ebraica, alla Chiesa cattolica, in dialogo con la comunità d'Israele:

Tale mancanza si è accentuata dopo la morte, il 24 giugno scorso, di Jean Baptiste Gourion, monaco benedettino e vescovo ausiliare di Gerusalemme con facoltà speciali per i cattolici di espressione ebraica.

Ecco il passaggio clou dell'intervista di padre Jaeger:

"Questa crisi fa emergere la difficile situazione in cui versa la Chiesa cattolica in Israele: essa non ha alcuna struttura che sia capace e desiderosa di parlare al pubblico ebraico e di prendere parte alle problematiche che si discutono nellÍopinione pubblica. Nonostante i molti volti della presenza della Chiesa in Terra Santa, la Chiesa cattolica è assente dalla società e dalla popolazione israeliana di lingua ebraica. In tutta questa settimana, mentre la propaganda dell'odio veniva diffusa dal ministero degli esteri e da quelli da esso istigati, non c'era nessuno in grado di rispondere: nessuno in Israele, in lingua ebraica, nei media israeliani, di fronte al pubblico israeliano. Il campo è completamente abbandonato

"Non conosco un'altra nazione dove la Chiesa è sprovvista allo stesso modo di rappresentanza pubblica, senza nemmeno un addetto stampa, capace e desideroso di impegnarsi nel dialogo con la nazione ebraica, usando la lingua ebraica. Questo è un problema che va risolto in modo stabile, così che in tempi di crisi, sia sempre possibile trovare un portavoce della Chiesa, capace di dialogare e interloquire con i media nazionali.

"Si è discusso e scritto per anni sul bisogno di stabilire un soggetto ecclesiale capace di di essere la Chiesa nella nazione israeliana, proprio come la Chiesa, presente in ogni altra nazione, secondo il comando del Signore e l'insegnamento del Concilio Vaticano II.

"Questa presenza è di fondamentale importanza anche per ogni altro aspetto della vita della Chiesa in Terra Santa. Essa è nell'interesse di tutte le altre comunità nazionali all'interno della comunità ecclesiale. Ma questo è un discorso che va affrontato più avanti in altre occasioni".
RATZGIRL
00sabato 6 agosto 2005 17:59
Re:

Scritto da: Ratzigirl 28/07/2005 13.52
Pensavo di postare e discutere qui tutti gli altri articoli che non riguardano in particolare Benedetto XVI ma la Chiesa in Generale, e tutti quegli avvenimenti che in qualche modo possono contribuire a cambiare il volto della Chiesa in positivo ed in negativo....che ne pensate dell'idea?




OTTIMA IDEA![SM=g27811]
Ratzigirl
00giovedì 1 settembre 2005 00:27
Un'esperienza da raccontare
In Kenya una suora messicana evita la circoncisione femminile con la Cresima





RIMINI, venerdì, 26 agosto 2005 (ZENIT.org).- Suor Maria de Los Angeles Vasquez è una suora messicana della Congregazione delle Suore Missionarie del Catechismo. Dal 1985 lavora in Kenya, dove è riuscita a evitare a centinaia ragazze il rito della circoncisione femminile, presente in tante tribù africane, sostituendolo con la Cresima.

Suor Maria ha raccontato la sua esperienza nel corso di un incontro svoltosi al Meeting di Rimini lunedì 22 agosto sul tema “Solidarietà e cooperazione nelle grandi crisi umanitarie: il futuro dell’infanzia”.

Quando è arrivata in Kenya nel villaggio di Mulot, suor Maria scoprì che le giovani donne praticavano un rito di iniziazione che nella lingua della tribù dei Kipsiguis significa “essere rinata”. Sebbene il termine fosse gradevole, scoprì presto che si trattava della pratica barbara della circoncisione dei genitali che fa di una adolescente una donna rispettabile e da marito.

In Kenya, ancora oggi, sebbene già nel settembre del 1982 sia stato emanato un decreto presidenziale per la messa al bando di tale pratica, le mutilazioni genitali continuano ad essere fortemente in uso. Solitamente l’età in cui vengono eseguite le mutilazioni genitali femminili è di solito compresa tra i tre e gli otto anni anche se in alcune regioni si eseguono dai primi giorni di vita sino ai venti anni.

A mezzanotte del giorno stabilito dal più anziano della tribù, ha raccontato la suora messicana, inizia il rito che prevede l’escissione dei genitali femminile tramite vecchio coltello o un pezzo di lamina, sempre lo stesso, per tutte, con tutti i rischi di trasmissione di malattie come l’AIDS, e spesso senza alcuna anestesia.

Le ragazze non devono piangere e nemmeno chiudere gli occhi, devono mostrare di non sentire dolore, perché significherebbe che non sono pronte a diventare donne.

Poi le donne, tutte insieme, vengono recluse con una maschera di pelle di capra sul viso, finchè non guarisce la ferita. Non possono lavarsi, non possono farsi vedere o essere riconosciute dagli altri. Il tempo della reclusione serve a farle diventare docili, perché di fronte all’uomo non devono parlare, lo devono rispettare e servire, ha raccontato suor Maria.

Per renderle ancora più servizievoli, in questo periodo subiscono percosse, umiliazioni, parole pesanti. Terminata la prigionia vanno al fiume, si lavano, si tolgono la maschera, e vengono riconosciute come donne, così che in seguito si potranno sposare ed avere figli.

Secondo i dati su questa pratica riportati in un dossier pubblicato dall’ Agenzia “Fides” , che si fa eco delle stime fatte dall’Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo - AIDOS News, solo in Kenya la diffusione della mutilazione genitale femminile è del 50%: le donne mutilate sono 6.300.000.

L’Africa sub-sahariana è la parte del pianeta dove tali pratiche sono più diffuse, ma anche diversi paesi arabi come l’Egitto e lo Yemen in testa sono interessati da tale fenomeno. Mentre, a detenere il triste primato della “infibulazione faraonica” (la più devastante), è la Somalia, dove si calcola che il 98% delle donne sia mutilata (3.773.000).

Riportando stime rese note da enti come l’Organizzazione Mondiale della Salute, l’ONU, e l’UNICEF, il dossier afferma che l’ “infibulazione” – un tipo di mutilazione genitale femminile – interessa almeno 120 - 130 milioni di bambine nel mondo. Solo ogni anno, sono 2 - 3 milioni le adolescenti che continuano a subirla.

L’agenzia “Fides” aggiunge anche che le mutilazioni genitali vengono praticate principalmente nelle popolazioni islamiche, ma anche animiste, protestanti, cristiane ed ebree, sebbene in nessuna di queste religioni vi siano dei dettami ai quali poter ancorare questa tradizione.

Nel corso della conferenza Suor Maria ha raccontato di non sapere proprio come fare per cambiare queste tradizioni secolari. Ha quindi parlato con le ragazze, che non volevano essere circoncise, ma che non volevano perdere il diritto di essere rispettate, come le donne che si erano sottoposte al rito. Ed ha infine capito che era necessario un rito, un cerimoniale che avesse lo stesso significato di passaggio alla società adulta, ma che non comportasse tali pratiche barbare: da lì a pensare alla Cresima il passo è stato breve.

La missionaria messicana ha quindi spiegato alle mamme che dovevano dare alla loro figlie la possibilità di entrare nella comunità cristiana e per questo ricevere il sacramento della Cresima.

La suora è stata così convincente che il 16 dicembre del 1995 il primo gruppo di ragazze iniziò il ritiro di due settimane per prepararsi alla Cresima. La voce si sparse nel villaggio, e così anche i non cristiani vennero ad assistere alla cerimonia in cui il Vescovo impone loro le mani.

Da allora la cerimonia si svolge ogni primo gennaio e sono sempre di più le ragazze che preferiscono la Cresima alla circoncisione. Ha commentato in conclusione suor Maria, con la cresima niente è tolto e tutto è dato e in abbondanza.

L’esperienza di suor Maria è cresciuta grazie anche al sostegno dell’ Associazione Volontari per il Servizio Internazionale (AVSI), con i quali ha avviato anche un programma di formazione femminile. In cantiere c’è anche il progetto di costruzione di una scuola che sarà finanziato attraverso l’adozione a distanza.

Ratzigirl
00venerdì 2 settembre 2005 00:40
Uragano Katrina, parla il vescovo : importante!!!!!! (leggere il programma di aiuto!!!)



“Siamo sopraffatti”, afferma l’Arcivescovo di New Orleans

BATON ROUGE (Louisiana), giovedì, 1° settembre 2005 (ZENIT.org).- L’Arcivescovo di New Orleans, Alfred Hughes, ha incontrato il Governatore della Louisiana e i leader religiosi per pregare per i sopravvissuti e le vittime dell’uragano “Katrina”.

“Siamo sopraffatti, non sappiamo come reagire”, ha affermato il prelato a Baton Rouge, secondo quanto riportato dal quotidiano Times-Picayune.

L’Arcivescovo ha suggerito di trovare conforto nella preghiera. Il prelato ha letto un brano tratto dalla Lettera di San Paolo ai Romani: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio… se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”.

Il Governatore Kathleen Blanco ha concordato. “In questo momento abbiamo bisogno di un potere superiore”, ha affermato. “Ci sono molte persone per le quali pregare”.

Il Governatore ha chiesto ai residenti di trascorrere la giornata in preghiera.

“Sarebbe la cosa migliore per calmare il nostro spirito e ringraziare Nostro Signore perché siamo ancora vivi”, ha aggiunto. “Lentamente, gradualmente, recupereremo; sopravvivremo; ricostruiremo”.

Migliaia di dispersi

Il sindaco di New Orleans, Ray Nagin, ha affermato nel frattempo che l’uragano ha probabilmente ucciso migliaia di persone nella città. Due argini sono crollati il giorno successivo a quello in cui l’uragano aveva colpito la zona, allagando la città che si trova ora sotto il livello del mare.

Sembra che almeno 100 persone siano morte nel vicino Stato del Mississippi.

“Catholic Charities U.S.A” – le Caritas statunitensi – sta preparando aiuti per il processo di ricostruzione della costa del Golfo del Messico.

“La missione di Catholic Charities U.S.A. è di ricostruire vite; il nostro compito è la risposta a lungo termine ai disastri”, ha detto a ZENIT la portavoce Shelly Borysiewicz.

“Non stiamo cercando di decidere quale sia la risposta migliore, se fornire alloggi, far stabilire le persone in altre città o procurare lavoro”, ha spiegato. “Noi siamo qui perché la strada sarà lunga”.

In situazioni di emergenza come quella che si verifica dopo un uragano, “Catholic Charities U.S.A.” offre consulenza psicologica, alloggi temporanei o facilitazioni per alloggi e finanziamenti in contanti d’emergenza a chi ha perso il proprio lavoro, ha ricordato la Borysiewicz.


IMPORTANTE!!!!!

Programmi d’aiuto

Catholic Charities U.S.A. ha un sito web per gli aiuti alle vittime della sciagura:
www.catholiccharitiesusa.org/news/katrina.cfm. I telefoni “non hanno smesso di suonare”, ha proseguito la portavoce.

“Una volta stabilite le singole necessità, distribuiremo tutte le donazioni alle agenzie delle Catholic Charities locali nelle aree colpite dall’uragano Katrina”, ha continuato.

I Vescovi statunitensi hanno chiesto alle diocesi di istituire una raccolta speciale per le vittime dell’uragano, da distribuire attraverso Catholic Charities U.S.A.

Nel frattempo, il Consiglio Supremo dei Cavalieri di Colombo, con sede nel Connecticut, ha fornito aiuti iniziali per le vittime dell’uragano in Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida.

Ai membri dei Cavalieri di Colombo e alla popolazione in generale è stato chiesto di effettuare donazioni ad un fondo per le vittime del disastro amministrato dalle organizzazioni caritative dei Cavalieri di Colombo.

I donatori degli Stati Uniti possono inviare i propri assegni a:

Knights of Columbus Charities USA Inc.
Gift Processing Center
PO Box 9028
Pittsfield, MA 01202-9028
Attn: Hurricane Katrina Relief.

I donatori del Canada possono inviare assegni a:

Knights of Columbus Canada Charities Inc.
Gift Processing Center
PO Box 7252 Station A
Toronto, ON, M5W 1X9
Attn: Hurricane Katrina Relief.


I Cavalieri, la maggiore organizzazione cattolica laica del mondo, hanno affermato che il 100% dei contributi sarà direttamente impiegato per aiutare le vittime dell’uragano e che tutte le donazioni alle istituzioni caritative dei Cavalieri di Colombo sono deducibili dalle tasse.
Ratzigirl
00venerdì 2 settembre 2005 15:19
Martire a quattordici anni. Così si riassume la vita di José Luis Sánchez del Río, che, come ha annunciato il Cardinale Juan Sandoval Íñiguez, Arcivescovo di Guadalajara, sarà beatificato con altri dodici martiri in quella città il 20 novembre prossimo.



Nato a Sahuayo, Michoacán, il 28 marzo 1913, figlio di Macario Sánchez e di María del Río, José Luis fu assassinato il 10 febbraio 1928, durante la persecuzione religiosa del Messico, per il fatto di appartenere ai “cristeros”, un folto gruppo di cattolici messicani che si opponevano all’oppressione del regime del Presidente Plutarco Elías Calles.

Un anno prima del suo martirio, José Luis si era unito alle forze “cristeras” del generale Prudencio Mendoza, la cui base era il villaggio di Cotija, Michoacán.

Al martirio assistettero due bambini, uno di sette e uno di nove anni, che in seguito sarebbero diventati fondatori di Congregazioni religiose.

Uno di loro è padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, nato a Cotija, che nel libro-intervista “Mi Vida es Cristo” (“La mia vita è Cristo”) rivela il ruolo decisivo che avrebbe avuto per la sua vocazione la testimonianza del suo amico José Luis.

“Fu catturato dalle forze del governo, che vollero dare un castigo esemplare alla popolazione civile che appoggiava i ‘cristeros’”, ha ricordato il fondatore, che allora aveva sette anni.

“Gli chiesero di rinnegare la sua fede in Cristo sotto la minaccia della pena di morte. José non accettò l’apostasia. Sua madre era straziata dalla pena e dall’angoscia, ma sosteneva suo figlio”, ha aggiunto.

“Allora gli spellarono le piante dei piedi e l’obbligarono a camminare per il paese, sulla strada verso il cimitero – ha ricordato –. Lui piangeva e gemeva di dolore, ma non cedeva. Di tanto in tanto si fermavano e gli dicevano: Se gridi, ‘muoia Cristo Re’ ti salviamo la vita. Dì ‘muoia Cristo Re’. Ma lui rispondeva: ‘Viva Cristo Re’”.

“Giunti al cimitero, prima di sparargli, gli chiesero per l’ultima volta se voleva rinnegare la sua fede. Non lo fece e lo ammazzarono proprio lì. Morì gridando, come molti altri martiri messicani, ‘viva Cristo Re!’”.

“Queste sono immagini incancellabili dalla mia memoria e dalla memoria del popolo messicano, anche se spesso non si parla di esse nella storia ufficiale”, ha concluso padre Maciel.

L’altro testimone oculare era un bambino di nove anni, Enrique Amezcua Medina, in seguito fondatore dela Confraternita Sacerdotale degli Operai del Regno di Cristo, che ha case di formazione sia in Messico che in Spagna ed è presente in vari Paesi del mondo.

Nella biografia della Confraternita da lui fondata, padre Amezcua ricorda il suo incontro – che ha sempre considerato provvidenziale – con José Luis.

Secondo quanto afferma in quella testimonianza, aver conosciuto il bambino martire di Sahuayo – al quale aveva chiesto di seguirlo nel suo cammino, ma che, vedendolo così piccolo, aveva detto: “Tu farai cose che io non riuscirò a fare” –, fu determinante per la sua scelta sacerdotale.

In seguito, diede vita al seminario di formazione degli Operai a Salvatierra, Guanajuato “Seminario di Cristo Re”, il cui internato fu intitolato a “José Luis”.

I resti mortali di José Luis riposano nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù nel suo paese natale.
Ratzigirl
00domenica 4 settembre 2005 13:48
Per amore...
PALERMO: DUE FRATELLI SACERDOTI LASCIANO L'ABITO PER AMORE DELLE LORO COMPAGNE

La vicenda ha coinvolto due fratelli di Palermo, ed ha sbigottito l'opinione pubblica: due fratelli, i quali avevano scelto entrambi di diventare sacerdoti, hanno abbandonato entrambi l'abito talare per amore. Pochi giorni fa uno dei due aveva deciso di abbandonare la tonaca per potersi unire con una donna di cui si era iannamorato. L'altro giorno il fratello ha seguito esattamente la stessa strada. Il primo in ordine di tempo a compiere questa scelta è stato Don Massimo. Ora è toccato invece a don Tonino, fino a luglio vice parroco di una delle chiese della periferia palermitana. I due fratelli che hanno deciso di lasciare l'abito talare fanno parte dell'ordine religioso del "verbo incarnato". Il vescovo ausiliario della diocesi, ha fatto sapere di essere moltio dispiaciuto.


[Mi chiedo una cosa: se dopo una promessa grande come quella di darsi a Dio per il resto della vita,se fatta coscientemente, quali garanzie può avere una persona se il proprio compagno non è stato fedele neppure a Dio? Che ne è stato dell'impegno preso?]
Ratzigirl
00domenica 4 settembre 2005 20:51
Una risposta a coloro che vogliono un figlio...


Superare gli affidamenti con l’adozione, sostenere l’adozione internazionale come importante forma di genitorialità e appello alle coppie sterili perché accettino la missione di accogliere un bambino abbandonato. Questo è quanto emerso dal Convegno internazionale "I bambini del limbo", promosso dal Movimento "Amici dei Bambini"( www.aibi.it ) e svoltosi a Bellaria (Rimini) dal 29 al 31 agosto.

Il movimento “Amici dei bambini” è una Organizzazione non governativa costituita da un movimento di famiglie italiane che promuove progetti finalizzati a prevenire l’abbandono del bambino da parte dei suoi genitori, attraverso il sostegno alla famiglia in difficoltà; a reinserire il bambino istituzionalizzato nella sua famiglia, attraverso accompagnamento specialistico alla famiglia d’origine; e a trovare una famiglia per il bambino abbandonato attraverso adozione nazionale e nel caso non sia possibile con quella internazionale.
Tra le tante attività di assistenza il movimento sta lavorando anche alla costruzione e gestione di una rete di Centri servizi alla famiglia per l’accoglienza temporanea dei bambini abbandonati o in difficoltà familiare.

Al Convegno sono intervenuti da tutto il mondo esperti di diritti dei minori, rappresentanti governativi e delle autorità centrali per le adozioni internazionali, dal Brasile alla Moldova, dalla Federazione Russa al Perù.

I dati dell’abbandono sono drammatici: sarebbero infatti 900mila i minori accolti negli istituti della Federazione Russa, oltre 100mila i bambini ospitati in strutture dell'Ucraina, mentre in Romania 84mila minori vivono sotto tutela statale, senza possibilità di accesso all'adozione internazionale.

Occorre inoltre citare i 43mila bambini in stato di abbandono in Marocco e i piccoli brasiliani privi di registrazione anagrafica o residenti in istituti "fantasma", di fatto inesistenti. Mentre in Colombia, vi sono bambini di 8-10 anni costretti a vivere per anni in attesa di un'adozione e rifiutati a causa della loro età, ritenuta "difficile" da possibili genitori adottivi.

Per quanto riguarda l’Italia, il procuratore della repubblica di Crotone, Francesco Tricoli, intervenuto al Convegno, ha sollevato il problema dell’affido, che il Presidente degli “Amici dei Bambini”, Marco Griffino, ha denunciato come “uno strumento fallito, una trappola abbandonica”: uno strumento nato per la protezione del minore che continua però a creare situazioni di limbo e di semi-abbandono per tanti adolescenti.

“L’affido familiare deve essere applicato nell’interesse dei bambini, non delle loro famiglie di origine. E oggi in Italia la sua applicazione corretta è un’eccezione, non la regola: non a caso il 60% dei minori in affido non riesce a tornare nella propria famiglia”, ha rivelato Griffini.

“Siamo per l’affido quando lo è davvero, quando non sia uno strumento solo di assistenza ma soprattutto di accoglienza, come lo prevede la legge”, ha sottolineato il Presidente di “Amici dei bambini”

Attualmente in Italia sarebbero circa 25mila i minori ‘fuori dalla famiglia’, ospiti in istituti, comunità o centri di accoglienza; circa 5mila gli affidi, la cui durata in media è superiore ai 3 anni (la legge prevede invece che dopo due anni il minore dovrebbe fare ritorno nella sua famiglia).

Per questo motivo più voci si sono levate dal Convegno di Bellaria per il “rilancio dell’adozione come vero strumento di tutela del minore per garantirgli il diritto alla famiglia”.

Una vera genitorialità, ha precisato Sophie Marinopoulos, psicologa di Nantes, esperta di ‘maternità vulnerabili’, implica almeno tre nascite perché un bambino sia figlio: quella biologica, quella sociale e quella psicologica. La nascita biologica è solo l’inizio di un cammino di vera genitorialità.

Il Presidente di “Amici dei Bambini” ha poi avanzato in forma esplicita la richiesta di gratuità per le adozioni internazionali, che oggi sono di fatto discriminate e “un lusso per pochi”.

Marco Griffini ha preso spunto da uno studio commissionato dagli “Amici dei Bambini” alla Fondazione Labos, per valutare e comparare il costo ed il sostegno pubblico alla varie forme di genitorialità.

Dallo studio risulta che oggi sono previsti rimborsi e sostegni per le spese legate alla gravidanza biologica e a quella biologica a rischio – esenzione totale per esami diagnostici, congedi e permessi retribuiti –; per la PMA (procreazione medicalmente assistita), accesso gratuito a tutti gli step; all’adozione nazionale, congedi retribuiti e spese per documentazioni e colloqui psicologici; nonché all’interruzione volontaria della gravidanza regolata dalla legge 194.

"L'adozione internazionale non è evidentemente considerata un valore, e questo studio lo dimostra – ha sottolineato Griffini – è una scelta al di fuori del sistema di gratuità che lo Stato invece garantisce a tutte le forme di genitorialità”.

A conclusione dei lavori del Convegno internazionale "I bambini del limbo", su ispirazione del messaggio dei Vescovi italiani per la XXVI Giornata per la Vita si è svolta una giornata di studio per una spiritualità dell’accoglienza, con una riflessione teologica e di testimonianza su esperienze concrete di vita familiare, di dialogo tra Chiesa e famiglie affidatarie e adottive. Tutto è ruotato intorno alla fiducia incondizionata nella vita, in grado di aprire totalmente all’accoglienza.

Alla fine di questa giornata di studio è stato lanciato un appello alle coppie sterili perché attuino la loro missione: accogliere un bambino abbandonato. Griffini ha parlato di “sterilità feconda”, come di “una Grazia che va scoperta con l’attenzione al bambino abbandonato”.
Ratzigirl
00martedì 6 settembre 2005 01:00
Assassinato nel Sud del Brasile un sacerdote italiano, padre Bessone

Il colpevole, un 16enne, durante un probabile tentativo di rapina

Un sacerdote italiano, padre Beppe Bessone, è stato assassinato nella notte del 2 settembre a Blumenau, città dello stato di Santa Catarina, nel Sud del Brasile.

A diffondere la notizia della morte del sacerdote “fidei donum” – inviato dalla sua Diocesi in altri Paesi dove vi è scarsità di sacerdoti – di Pinerolo (Piemonte) è stata l’agenzia “MISNA”.

Padre Bessone, di 62 anni, ha perso la vita nella sua abitazione nel corso di quello che sembra sia stato un tentativo di rapina.

Secondo quanto riferito dalla stessa agenzia missionaria, che cita fonti della polizia locale, il colpevole sarebbe stato un adolescente di 16 anni – le cui generalità non sono state ancora diffuse –accolto da don Bessone nella casa parrocchiale della chiesa di Santo Antonio, che il sacerdote guidava da sette anni.

Rimasto ferito all’addome nella colluttazione con il sacerdote, il giovane omicida avrebbe confessato il crimine dopo una prima deposizione rilasciata alle autorità sanitarie dell'ospedale Santa Isabel, dove è attualmente ricoverato.

A riferire all’agenzia MISNA dell’accaduto è stato don Ferdinando Lanfranchini, parroco di Santa Maria Assunta, la chiesa di Bricherasio a cui apparteneva don Bessone e che il sacerdote piemontese aveva lasciato la scorsa settimana per far ritorno in Brasile, dove era missionario dal 1975.

Nel commentare il fatto, il parroco di Bricherasio ha affermato: "Per rubargli quei 4 soldi che poteva avere hanno spento la vita di una persone stupenda".

Padre Bessone aveva trascorso gli ultimi due mesi di vacanza nella sua parrocchia, dopo essere stato per tre anni di seguito in Brasile.

Domenica, 4 settembre, si è celebrata a Blumenau una messa di suffragio per il sacerdote ucciso, le cui spoglie saranno trasferite in Italia nel corso della settimana.

Ratzigirl
00mercoledì 7 settembre 2005 22:20
Una sconcertante cronaca....
In Terra Santa va raddoppiata la Custodia
Sempre più in pericolo i cristiani di Betlemme e della Palestina. Il Custode dei Luoghi Sacri accusa gli estremisti islamici e l’Autorità Palestinese “che fa poco o nulla”.





Con parole dure e inattese il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, ha richiamato l’attenzione di tutti sul crescendo di violenze e umiliazioni di cui sono vittima i cristiani di Cisgiordania, ad opera dei musulmani.

“Macché difficoltà tra Israele e Vaticano! I problemi per noi cristiani in Terra Santa sono altri. Quasi ogni giorno, lo ripeto, quasi ogni giorno, le nostre comunità sono vessate dagli estremisti islamici in queste regioni. E se non sono gente di Hamas o della Jihad Islamica, avviene che ci si scontri con il muro di gomma dell’Autorità Palestinese, che fa poco o nulla per punire i responsabili. Anzi, ci è capitato di venire a sapere che in alcuni casi tra loro c’erano gli stessi agenti della polizia di Mahmoud Abbas o i miliziani del Fatah, il suo partito, che sarebbero addetti alla nostra difesa”.

Padre Pizzaballa è un’autorità. Rappresenta la Custodia Francescana di Terra Santa, l’istituzione alla quale da sette secoli la Santa Sede affida la cura delle proprietà della Chiesa, nella terra in cui visse Gesù.

Parla l’ebraico e conosce l’arabo. Al “Corriere” ha detto di avere “una lista di 93 casi di ingiustizie di vario tipo commesse ai danni dei cristiani nella regione di Betlemme tra il 2000 e il 2004”.

E proprio lo stesso giorno in cui appariva questa sua denuncia pubblica un altro caso di violenza anticristiana si è registrato a Taibeh, l’antica Ephraim della Bibbia, un villaggio a est di Ramallah.

A Taibeh, domenica 4 settembre, tredici case abitate da altrettante famiglie cristiane sono state assalite e bruciate, le strade devastate, una statua della Madonna fatta a pezzi.

Il motivo scatenante: la storia d’amore tra Hiyam Ajai, una giovane musulmana del vicino villaggio di Deir Jreer, e Mehdi Kouriyee, un cristiano di un’importante famiglia di Taibeh, proprietaria di una fabbrica di birra dello stesso nome.

Quando hanno scoperto che Hiyam era in attesa di un bambino, i suoi l’hanno chiusa in casa, l’hanno picchiata. Giovedì 1 settembre Hiyam è stata trovata morta. I genitori hanno spiegato: “Quel cristiano l’ha violentata e lei si è avvelenata”. Si è gridata vendetta e si è preparato l’assalto. Le famiglie cristiane di Taibeh hanno trovato scampo lasciando in tempo le loro case. La polizia palestinese è arrivata sul posto a devastazione avvenuta.

Questo e gli altri fatti inclusi nel dossier confermano un dato già evidenziato da altri osservatori: il netto aumento dell’ostilità musulmana nei confronti dei cristiani di Terra Santa, avvenuto a partire dallo scoppio della seconda intifada, alla fine del 2000.

Una recente e diretta documentazione di questo crescendo di ostilità è il libro di Elisa Pinna, esperta di questioni religiose internazionali per l’agenzia giornalistica ANSA: “Tramonto del cristianesimo in Palestina”, pubblicato nel marzo del 2005.

La svolta – spiega Elisa Pinna – è avvenuta con l’ingresso nella seconda intifada di un elemento nuovo: il fondamentalismo islamico.

In precedenza, il movimento palestinese aveva un’impronta prevalentemente nazionalista. E a questa impronta avevano contribuito soprattutto gli arabi di fede cristiana, parte di un’élite colta e occidentalizzata, non priva di venature marxiste. Erano cristiani i capi guerriglieri George Habbash, Wadi Haddad, George Hawatmeh. Ma erano cristiani anche gli esponenti di punta dell’ala moderata e pragmatica che sostenne gli accordi di Oslo: Hanan Ashrawi, Hanna Seniora, Afif Safia.

Oggi però queste ultime figure sono in ombra e sotto minaccia. Anche la scomparsa di Yasser Arafat ha pesato a sfavore dei cristiani.

E questi emigrano. Nello storico “triangolo cristiano” formato da Betlemme e dai due villaggi adiacenti di Beit Jala e Beit Sahur, mezzo secolo fa i tre quarti della popolazione erano battezzati. Oggi a Betlemme i cristiani sono scesi a 6500 su 35000 abitanti, e a Beit Jala e Beit Sahur si sono dimezzati. Il suono delle campane è ovunque sovrastato dagli altoparlanti a tutto volume dei muezzin.

Un segnale forte di questa svolta è stata l’occupazione da parte di musulmani armati della basilica della Natività a Betlemme, nel 2002. In quegli stessi giorni e settimane, altri gruppi armati occuparono a Betlemme altri conventi di religiosi e suore: ma di questo il mondo non ebbe notizia.

Vicino a Betlemme, un piccolo santuario di proprietà della Chiesa greco-ortodossa dedicato ad Al Khadr, un santo venerato sia dai cristiani che dai musulmani e persino dagli ebrei, era meta pacifica fino a pochi anni fa di devoti delle tre religioni. Oggi è in stato di abbandono. “Il prete cristiano tiene chiusa la chiesa perché ha paura che i musulmani gliela prendano per farne una moschea”, ha sussurrato ad Elisa Pinna il custode arabo del santuario.

Un altro greco-ortodosso, un imprenditore di nome Samir Qumsieh, si muove invece controcorrente. Nel 1996 ha fondato a Betlemme una televisione, Al Mahed, la Natività, che assieme a un’emittente libanese è tutt’ora la sola voce televisiva cristiana in tutto il Medio Oriente arabo.

Il suo bacino d’utenza comprende Gerusalemme, Gerico, Ramallah, Hebron, con un milione di spettatori potenziali. Si distinse nel 2002, quando diede costante copertura ai quaranta giorni di occupazione e di assedio della basilica della Natività. “Ebbene, quando l’occupazione finì, l’Autorità Palestinese ci ringraziò tagliandoci la luce e il telefono”, dice oggi Samir Qumsieh.

E padre Pizzaballa ha confermato al “Corriere”: “In queste ultime settimane una banda di Beit Sahur, dove egli ha la casa e l’ufficio, sta cercando di rubargli il terreno dove vorrebbe installare un ripetitore in grado di allargare l’area coperta dall’emittente”.

Del dossier in possesso della Custodia di Terra Santa, Samir Qumsieh è il principale autore. L’ha mandato anche all’Autorità Nazionale Palestinese, quand’era ancora in vita Arafat.

I suoi contenuti li aveva anticipati un anno fa a Elisa Pinna: Per i cristiani qui ormai è una vita di soprusi e di umiliazioni. A comandare sono i ladri di terra. I musulmani si appropriano dei nostri beni e delle nostre proprietà attraverso vere e proprie truffe, compiute con la complicità di funzionari legati all’Autorità Palestinese e alle sue milizie, i tanzim. A Betlemme regna l’illegalità. Prendiamo il caso del dottor Samir Asfour. Aveva ereditato dal padre novemila metri quadrati vicino alla Tomba di Rachele. Ebbene, è saltato fuori un musulmano con un documento falso che rivendicava la terra. E naturalmente il registro comunale di Betlemme gli ha dato ragione”.

E ancora: Sono frequenti i casi di teppismo contro le chiese, da cui portano via i crocifissi. Nel giardino del convento delle suore salesiane hanno distrutto la statua della Vergine Maria. Nel cimitero cristiano di Betlemme hanno violato alcune tombe. Sono apparse scritte contro Hanan Ashrawi, l’ex portavoce dell’OLP, colpevole di essere cristiana e di essere donna”.

Ma non è tutto. Nel dossier è riportato il caso di Rawan William Mansur, [G]una ragazza di 16 anni di Beit Sahur, che nella primavera del 2003 fu violentata da quattro miliziani di Fatah. Nessuno di loro fu arrestato. La famiglia fu costretta a emigrare in Giordania.

Nel 2002 due sorelle della famiglia Amre, di 17 e 19 anni, furono [G]giustiziate a colpi di pistola da un gruppo di uomini vicini all’Autorità Palestinese. L’accusa era di prostituzione. Ma l’autopsia dimostrò due cose: la prima che erano vergini, la seconda che erano state torturate ai genitali con sigarette accese, prima dell’esecuzione.

A Betlemme c’è un istituto cristiano di nome “La Crèche”, la mangiatoia, che prende cura dei neonati abbandonati dai genitori. “Sono i figli di relazioni illegali troncate violentemente dalla sharia, la legge musulmana imperante nei campi profughi”, hanno spiegato ad Elisa Pinna le responsabili dell’istituto. “Il loro numero sta aumentando. Nessuno di questi bambini può essere adottato all’estero. È proibito, l’Autorità Palestinese non vuole. Devono rimanere qui, a Betlemme, restare palestinesi e musulmani”.
Ratzigirl
00sabato 10 settembre 2005 19:13
VATICANO-TURCHIA
La Turchia conferma i preparativi per la visita del Papa





Città del Vaticano (AsiaNews) – Si rafforzano le possibilità che Benedetto XVI possa veder realizzato il suo desiderio di recarsi in visita in Turchia. Il governo turco ha infatti reso noto ufficialmente che sono in corso trattative col Vaticano per definire i termini del viaggio papale che dovrebb svolgersi tra il 28 ed il 30 novembre (gli stessi giorni, 26 anni dopo, della visita di Giovanni Paolo II), anche se di date ancora non si è parlato.

Nei giorni scorsi il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, aveva detto che il Papa “ha intenzione di recarsi in Turchia” per visitare il Patriarcato ecumenico. C'è, aveva specificato, l'invito del patriarcato, manca l'autorizzazione del governo, ma "la stiamo aspettando".

L’invito da parte di Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, c’è praticamente dal giorno dell’elezione dell’attuale papa e, a quanto si sa, dovrebbe riguardare una data che comprende il 30 novembre, giorno della festa di Sant'Andrea, l'apostolo considerato il fondatore di quella

Chiesa.

Per ciò che riguarda il governo turco, oggi un comunicato del Ministero degli esteri afferma che “sono in corso lavori sulle date della visita” e che “la Turchia dà grande importanza alla questione del viaggio di Benedetto XVI”. Il ministero ha anche smentito un’informazione data dal giornale turco Radikal, secondo il quale il Papa avrebbe espresso il desiderio di potersi recare a pregare, ad Istanbul, in Santa Sofia, oggi moschea, un tempo chiesa cristiana. In questo stadio, ha precisato, “non è stato deciso alcun particolare della visita”.

Quanto a Benedetto XVI, all’origine del suo desiderio di recarsi dal primo, anche se solo “in onore” dei patriarchi ortodossi trova la sua ragione nella sua volontà di far progredire il cammino ecumenico, che ha posto tra gli impegni fondamentali dell’intero pontificato.

Non ci si nascondono, però, preoccupazioni di sicurezza. La stampa turca ha molto sottolineato alcune affermazioni dell’allora cardinale Ratzinger non particolarmente favorevole all’ingresso del Paese nella Ue, il che gli è valso talora una qualifica di “nemico”. In Occidente, invece, qualcuno ha già ricordato che in occasione della visita in Turchia di Giovanni Paolo II ci fu un uomo, condannato per omicidio, che dall’interno del carcere lo minacciò di morte. Si chiamava Ali Agca.

Ratzigirl
00lunedì 12 settembre 2005 12:13
Arriva il clone...



Il clone umano è arrivato in Africa. Ma i missionari tacciono
O meglio, tacevano. La rivista dell’Università Cattolica di Milano mette sotto accusa il silenzio di missionari e no global di fronte alle nuove embriotecnologie. E accende una discussione



ROMA, 12 settembre 2005 – Ha fatto il giro del mondo un recente servizio della rivista multinazionale “National Geographic” sulle cellule staminali come nuova frontiera della cura delle malattie più invincibili.

La rivista – a suo modo autorevole in quanto riflette e trasmette una sorta di “pensiero unico” della modernità, nella veste grafica più scintillante – riconosce che, tra le cellule staminali, quelle embrionali sollevano problemi morali seri. Clonare e produrre esseri umani per ricavarne linee di cellule staminali embrionali è giudicato da molti inaccettabile, per motivi sia razionali che religiosi. Ciò non toglie che in numerosi laboratori di vari paesi si faccia proprio questo.

La maggior parte dei laboratori di produzione di linee di cellule staminali embrionali – documenta “National Geographic – si trovano negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Svezia, in Spagna, in Israele.

Ma ve ne sono anche, e avanzatissimi, in Corea del Sud, a Singapore, in India, in Iran...

Ossia in quelle che nel linguaggio cattolico sono chiamate “terre di missione”.

Ebbene, cosa pensano, dicono e fanno i missionari cattolici operanti in tali paesi, a fronte di queste nuove embriotecnologie che si sviluppano anche nelle regioni povere del mondo, dove controlli, vincoli e costi sono molto minori?

Per lo più tacciono.

* * *

A denunciare lo “strano silenzio” dei missionari a fronte di clonazioni umane e utilizzo degli embrioni è arrivato nei giorni scorsi un articolo – su una rivista cattolica ufficiale – scritto da un esperto del ramo.

La rivista è quella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, “Vita e Pensiero”.

Mentre l’autore dell’articolo è Gerolamo Fazzini, esperto di questioni internazionali nonché condirettore di “Mondo e Missione”, il mensile del Pontificio Istituto Missioni Estere.

Alla provocazione di Fazzini ha reagito il 3 settembre – in un’intervista al quotidiano della conferenza episcopale italiana, “Avvenire” – un missionario italiano dei più celebri, Alex Zanotelli, comboniano, in passato direttore di un’altra rivista missionaria importante, “Nigrizia”, poi partito per l’Africa e oggi leader di punta del movimento pacifista e no global.

Nell’intervista, padre Zanotelli ammette che silenzio c’è stato, anche da parte sua:

Dico la verità: è la prima volta che ragiono su queste cose”.

Spiega così il disinteresse di tanti missionari, circa le nuove embriotecnologie:

Il missionario sul campo spesso non è abbastanza cosciente, perché queste evoluzioni si percepiscono meglio in ambienti urbani e culturalmente preparati; mentre noi lavoriamo in campagna e tra i poveri. In tema di manipolazioni del corpo umano ho presente solo una mobilitazione sulla vendita di organi, oltre che sull’aborto. È vero: su certe cose siamo sensibili e su altre molto meno”.

Ma vede anche i segni di una nuova sensibilità:

Girando per l’Italia mi sono reso conto quanto stia crescendo nel mondo cattolico il principio della difesa della vita. In ogni situazione”.

E auspica fin da subito “una campagna del mondo missionario contro le manipolazioni genetiche nel Sud del mondo”. Perché, spiega:

Gli eccessi delle biotecnologie verranno pagati dalla gente, che diventerà un esubero o una cavia. Fino a ieri i poveri venivano usati come manodopera a basso prezzo, adesso non servono più. E questa è la stessa idea della manipolazione genetica: usare l’uomo. L’Africa invece è il polmone antropologico dell’umanità: là sono state le origini dell’umanità e là c’è ancora una straordinaria vitalità che costituisce una ricchezza biologica anche per l’Occidente triste e necrofilo. Altro che le provette”.
Ratzigirl
00venerdì 16 settembre 2005 15:04
Prete sposato, anglicano cattolico.....
SPAGNA:CHIESA ACCOGLIE PRETE SPOSATO CON BENEDIZIONE RATZINGER (AGI)



Madrid, 22 ago. - Evans David Gliwitzki, pastore anglicano sposato e con due figli, e' stato ordinato sacerdote della Chiesa Cattolica. La cerimonia e' avvenuta nella chiesa di Nuestra Senora de la Concepcion de La Laguna, e -secondo il vescovo di Tenerife, Felipe Fernandez, e' "un'eccezione molto particolare" e il caso non costituisce il primo passo verso l'abolizione del celibato nella Chiesa Cattolica. Il prelato di Tenerife ha spiegato che fu proprio Papa Joseph Ratzinger, quando era ancora cardinale e responsabile della Congregazione per la Dottrina della Fede, a chiedere a Giovanni Paolo II di ordinare sacerdote cattolico il pastore anglicano.
Figlio di un cattolico polacco sposato con un'anglicana, Gliwitzki -oggi, 'padre Evans'- e' nato nello Zimbabwe, dove ha vissuto la gran parte dei suoi 64 anni. Oggi residente a La Laguna (Tenerife), il ministro anglicano entro' in contatto con l'attuale Papa, Benedetto XVI, grazie ai frequenti viaggi a Roma come membro della delegazione anglicana impegnata nei colloqui con il Vaticano per avvicinare le due confessioni cristiane. Per la Spagna si tratta del primo ministro anglicano che riceve l'ordine sacerdotale cattolico.
Ratzigirl
00lunedì 26 settembre 2005 14:13
Il miracolo di San Gennaro
19 settembre 2005 - Si è ripetuto questa mattina a Napoli il miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro. L’evento, nel giorno in cui si ricorda il XVII centenario del martirio del santo.


San Gennaro, il miracolo si ripete
ma è polemica tra fede e scienza
La Curia: "Tanti hanno provato a dare una spiegazione razionale
ma il fenomeno non avviene ogni volta che si prendono le boccette
"





Il cardinal Giordano con l'ampolla del sangue di San Gennaro
NAPOLI - Oramai è un appuntamento per tutti, fedeli e atei, napoletani e non: la liquefazione del sangue di San Gennaro. E il "miracolo" come ogni volta solleva polemiche a non finire, con i razionalisti che forniscono spiegazioni scientifiche e la curia che le respinge.

Oggi nella cattedrale di Napoli alle 9,56 il cardinale Michele Giordano ha dato la notizia che in molti attendevano con il fiato sospeso: il prodigio si era ripetuto. Dunque, per i fedeli partenopei, un buon auspicio per la città e per il paese.

Ma subito gli scettici hanno fatto sentire la loro voce: nelle ampolle non ci sarebbe sangue ma un composto chimico a base di ferro, preparato nel medioevo. Insomma, secondo il Cicap, (il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale, fondato tra gli altri da Piero Angela e Margherita Hack), si tratterebbe di una sorta di gel allo stato solido quando è fermo, ma che diventa liquido non appena si agita.

"Sono anni e anni - ha tagliato corto un portavoce della curia - che la stessa 'ricetta' viene riproposta a scadenze più o meno regolari. Altri studiosi hanno tesi diverse e nei secoli scorsi in tanti hanno provato a spiegare razionalmente il fenomeno. La verità è che nessuna di queste presunte spiegazioni riesce a riprodurre esattamente quanto avviene nelle ampolline di San Gennaro".

Il punto di forza del ragionamento della curia è che talvolta il sangue non si è sciolto anche se le ampolline sono state più volte agitate. E che per la Chiesa il fenomeno è inspiegabile lo ha ribadito oggi, nel corso dell'omelia della messa Pontificale celebrata nella cattedrale di Napoli, il nunzio apostolico in Italia, monsignor Paolo Romeo: "L'inspiegabilità scientifica del fenomeno è stata comprovata anche dalle ricerche più recenti".

Secondo la tradizione il "miracolo" della liquefazione del sangue avviene tre volte l'anno: il 19 settembre (solennità liturgica del santo), il sabato che precede la prima domenica di maggio (cerimonia che ricorda le diverse traslazioni delle reliquie) e il 16 dicembre (anniversario dell'eruzione del 1631, bloccata dopo le preghiere al patrono). E l'appuntamento di quest'anno è giunto in un momento particolare: ricorrono infatti ben 17 secoli dal martirio del santo che era vescovo della chiesa di Benevento che avvenne, secondo la tradizione, nel lontano 305.
RATZGIRL
00lunedì 26 settembre 2005 20:28
Re: Il miracolo di San Gennaro

Scritto da: Ratzigirl 26/09/2005 14.13
19 settembre 2005 - Si è ripetuto questa mattina a Napoli il miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro. L’evento, nel giorno in cui si ricorda il XVII centenario del martirio del santo.


San Gennaro, il miracolo si ripete
ma è polemica tra fede e scienza
La Curia: "Tanti hanno provato a dare una spiegazione razionale
ma il fenomeno non avviene ogni volta che si prendono le boccette
"





Il cardinal Giordano con l'ampolla del sangue di San Gennaro
NAPOLI - Oramai è un appuntamento per tutti, fedeli e atei, napoletani e non: la liquefazione del sangue di San Gennaro. E il "miracolo" come ogni volta solleva polemiche a non finire, con i razionalisti che forniscono spiegazioni scientifiche e la curia che le respinge.

Oggi nella cattedrale di Napoli alle 9,56 il cardinale Michele Giordano ha dato la notizia che in molti attendevano con il fiato sospeso: il prodigio si era ripetuto. Dunque, per i fedeli partenopei, un buon auspicio per la città e per il paese.

Ma subito gli scettici hanno fatto sentire la loro voce: nelle ampolle non ci sarebbe sangue ma un composto chimico a base di ferro, preparato nel medioevo. Insomma, secondo il Cicap, (il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale, fondato tra gli altri da Piero Angela e Margherita Hack), si tratterebbe di una sorta di gel allo stato solido quando è fermo, ma che diventa liquido non appena si agita.

"Sono anni e anni - ha tagliato corto un portavoce della curia - che la stessa 'ricetta' viene riproposta a scadenze più o meno regolari. Altri studiosi hanno tesi diverse e nei secoli scorsi in tanti hanno provato a spiegare razionalmente il fenomeno. La verità è che nessuna di queste presunte spiegazioni riesce a riprodurre esattamente quanto avviene nelle ampolline di San Gennaro".

Il punto di forza del ragionamento della curia è che talvolta il sangue non si è sciolto anche se le ampolline sono state più volte agitate. E che per la Chiesa il fenomeno è inspiegabile lo ha ribadito oggi, nel corso dell'omelia della messa Pontificale celebrata nella cattedrale di Napoli, il nunzio apostolico in Italia, monsignor Paolo Romeo: "L'inspiegabilità scientifica del fenomeno è stata comprovata anche dalle ricerche più recenti".

Secondo la tradizione il "miracolo" della liquefazione del sangue avviene tre volte l'anno: il 19 settembre (solennità liturgica del santo), il sabato che precede la prima domenica di maggio (cerimonia che ricorda le diverse traslazioni delle reliquie) e il 16 dicembre (anniversario dell'eruzione del 1631, bloccata dopo le preghiere al patrono). E l'appuntamento di quest'anno è giunto in un momento particolare: ricorrono infatti ben 17 secoli dal martirio del santo che era vescovo della chiesa di Benevento che avvenne, secondo la tradizione, nel lontano 305.



Mi piacerebbe sapere cosa pensa Papa Ratzinger di questo "miracolo di San Gennaro",dato che lui è notoriamente scettico sulla maggior parte dei presunti miracoli.[SM=g27821]
Ratzigirl
00martedì 27 settembre 2005 20:47
Nell’Hebei nuova ondata di persecuzione contro i cattolici
di Xing Guofang


Mentre i rapporti tra Vaticano e Pechino sembrano dare segni di miglioramento, nella regione dove maggiore è il numero di cattolici, vescovi e sacerdoti vengono costretti sotto la minaccia delle armi a iscriversi all’Associazione patriottica.



Pechino (AsiaNews) – Mentre si registra qualche segno di miglioramento nei rapporti fra Vaticano e Cina, il governo dell’Hebei ha lanciato una nuova campagna di persecuzione contro la Chiesa cattolica clandestina in tutta la regione. La campagna mira a far registrare tutti i cattolici, e soprattutto vescovi e preti, all’Ufficio statale per gli affari religiosi e a farli iscrivere all’Associazione patriottica. “Sembrano tornati – a giudizio di alcuni fedeli – i tempi della rivoluzione culturale, con l’intransigenza e la persecuzione”.

L’Hebei è la regione in Cina con la massima densità di cattolici (oltre 1,5 milioni), dove i cattolici clandestini (non riconosciuti dal governo) sono la forte maggioranza. La campagna è sostenuta dall’Ufficio affari religiosi e dalla polizia. Alcuni rappresentanti del governo hanno detto ai vescovi non ufficiali che “d’ora in poi tutto il clero, per distribuire i sacramenti, deve avere una speciale tessera concessa dal governo”. Il motivo di tutto ciò è – secondo tali rappresentanti – di unire la Chiesa clandestina e quella ufficiale che, in ubbidienza alle indicazioni della Santa Sede, tendono sempre di più a collaborare e unirsi. Molti vescovi della Chiesa non ufficiale hanno dato indicazione di partecipare all’eucarestia con le comunità ufficiali. Fino a pochi anni fa una simile indicazione sarebbe stata impensabile.

Alle pressioni poliziesche nell’Hebei, i vescovi hanno risposto che loro possono accettare la tessera dal governo, ma è impossibile chiedere loro di unirsi a forza alla Chiesa ufficiale perché questo implica l’iscrizione all’Associazione patriottica. L’AP è un’organizzazione a servizio del partito per controllare i fedeli. Uno dei suoi scopi, fissato nel suo statuto, è quello di far crescere e fiorire una chiesa nazionale, staccata dal legame con la Santa Sede. Il rifiuto dei vescovi a parteciparvi è dunque motivato dalla fede e dalla legge canonica. Nel braccio di ferro che ne è nato, i rappresentanti del governo minacciano la prigione per tutti.

I vescovi hanno chiesto ai rappresentanti del governo di lasciarli liberi di trovare loro stessi i modi e i tempi per costruire l’unità. I rappresentanti hanno risposto che essi vogliono l’unità adesso e non in futuro e hanno minacciato con le armi chi disobbedisce. Un vescovo si è sentito dire: Noi siamo comunisti, abbiamo fucili e siamo armati!”, proprio come, commenta, avrebbero fatto dei mafiosi.

Secondo molti fedeli dell’Hebei lo zelo di polizia e rappresentanti governativi si spiega solo con una ragione: se riusciranno a sbaragliare la Chiesa non ufficiale facendola rifluire nell’AP, riceveranno un premio dal governo centrale.

Ma vi è un’altra ragione nascosta: l’unità non viene realizzata dalla pazienza e dalla libertà delle comunità, ma imposta dall’esterno, lasciando intendere che per realizzarsi essa necessita sempre della forza di un Ufficio per gli affari religiosi e di un’Associazione patriottica. “Se noi ci uniamo da soli – dice un vescovo ad AsiaNews – loro perdono il lavoro e il salario perché non c’è più nulla da controllare”.

Mentre la Cina attende le Olimpiadi e progredisce nel XXI secolo, nell’Hebei la persecuzione ricorda ancora lo stile del Partito comunista degli anni ’50 sotto Mao Zedong; questi atteggiamenti stalinisti “fanno fare brutta figura al governo”, dicono i fedeli. Se i vescovi saranno sbattuti in carcere, essi concludono, non ci resta che fare appello al mondo, come è stato fatto per quelli all’origine della campagna di AsiaNews, e accusare il governo dell’Hebei.


[Se questa non è repressione....[SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27825] ]

Ratzigirl
00domenica 2 ottobre 2005 02:44
I 4 vescovi cinesi non verranno al Sinodo



Roma (AsiaNews) – I vescovi cinesi non verranno al Sinodo. Nessuno di loro fino ad oggi ha ricevuto il passaporto e il permesso di lasciare il paese: lo hanno comunicato stamattina ad AsiaNews. C’è solo “una speranza, ma molto piccola”, per mons. Lucas Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang.

In occasione del Sinodo sull’Eucaristia, che si tiene a Roma dal 2 al 23 ottobre, Benedetto XVI aveva nominato come membri 4 vescovi cinesi. Essi sono: mons. Antonio Li Duan, arcivescovo di Xian e mons. Aloysius Jin Luxian, vescovo di Shanghai, entrambi riconosciuti dal governo; mons. Giuseppe Wei Jingyi, vescovo di Qiqihar, non riconosciuto dal governo. Il quarto è mons. Luca Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang (Shaanxi), riconosciuto dal governo solo un anno fa.

Fedeli di Qiqihar hanno detto ad AsiaNews che il loro vescovo senz’altro non verrà. Proprio oggi il governo locale gli ha ripetuto che non darà né il permesso, né il passaporto. Essi hanno anche detto che su questo divieto “sono d’accordo la Cina e il Vaticano”. Da quando mons. Wei, 47 anni, ha ricevuto la lettera-invito del papa, il vescovo è andato tutti i giorni a chiedere di ricevere il passaporto, ma gli è stato sempre negato. Intanto mons. Wei ha scritto a Benedetto XVI ringraziandolo per l’onore concesso a lui e al popolo cinese.

Sui motivi del divieto il governo locale ha spiegato che “tutto dipende dai rapporti diplomatici fra Cina e Vaticano; finché non ci saranno rapporti, sarà difficile organizzare questi viaggi”. Ma membri del governo hanno fatto capire che l’opposizione più forte alla presenza dei vescovi al Sinodo viene dall’Associazione Patriottica.

Dopo la pubblicazione della lista dei membri, Liu Bainian, vice presidente e segretario generale dell’AP aveva dichiarato che il Vaticano era stato “scortese” perché aveva invitato i vescovi senza passare attraverso i canali ufficiali che gestiscono gli affari della Chiesa, e cioè l’Associazione Patriottica e il consiglio dei vescovi cinesi.

L’Associazione Patriottica è un organismo non ecclesiale, di cui fanno parte membri atei legati al Partito comunista, il cui scopo è il controllo della chiesa – anche economico – e la crescita di una chiesa indipendente dalla Santa Sede.

Anche il vescovo di Shanghai, mons. Jin Luxian afferma che la personalità più negativa e contraria all’andata dei vescovi a Roma è Liu Bainian. Diversa è invece la posizione del direttore dell’Ufficio affari religiosi Ye Xiaowen. Durante un viaggio ad Hong Kong, oltre una settimana fa, egli aveva dichiarato che “difficilmente i vescovi invitati andranno a Roma”, ma che vi “erano ancora spazi per il dialogo con la Santa Sede”. A differenza di Liu Bainian, che considera una “scortesia” l’invito del Vaticano, Ye ha detto che la considera un gesto di “amicizia di Benedetto XVI verso la Cina”.

Ma la conclusione è la stessa: anche mons. Jin Luxian fino ad oggi non ha ricevuto il passaporto. Mons. Jin ha detto ad AsiaNews che Ye “è tuttora in dialogo con la Santa Sede per trovare una soluzione. C’è ancora una speranza, ma è molto piccola”. Mons. Jin, 89 anni, pensa personalmente di non poter venire a Roma: da un anno e mezzo gli è stata scoperta un’angina al cuore che non gli permette di viaggiare. Mons. Jin dice che la lentezza e le difficoltà con cui Pechino risponde a tale richiesta dipende dall’incomprensione reciproca fra Cina e Santa Sede: “il governo non capisce il Vaticano; il Vaticano non capisce il governo cinese”. Il vescovo di Shanghai ha annunciato che per la fine di ottobre a Shanghai è atteso il card. McCarrick, arcivescovo di Washington. “Spero tanto che questa visita appiani tante incomprensioni”, ha detto ad AsiaNews. Intanto dovete pregare molto per la Cina: la politica è potente, ma Dio è ancora più potente”.

Mons. Antonio Li Duan, arcivescovo di Xian, 78 anni, ha sottolineato che il primo motivo per cui egli non può venire a Roma è la sua salute: “Ho un cancro che non mi permette nemmeno di stare in piedi, mi è proprio impossibile viaggiare”. Egli ha anche aggiunto che il governo non si è pronunciato e che ha “sentito” che vi sono ancora colloqui e discussioni fra Vaticano e governo sulla questione, ma “il tutto non mi è molto chiaro”.

Anche mons. Lucas Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang, non ha ancora ottenuto il passaporto e il permesso per viaggiare. Ma è quello che ha più speranza. Pur avendo 84 anni, egli è in buona salute e ha un rapporto buono con le autorità dello Shaanxi. Domani, 1 ottobre, festa nazionale in Cina, i rappresentanti del governo provinciale gli faranno visita.

Ad AsiaNews ha detto: “Questo invito è un buon passo del papa Benedetto per migliorare i rapporti con la Cina: è un grande segno di amicizia e di stima verso la Chiesa in Cina”. Mons. Li Jingfeng difende il Vaticano, che non ha invitato i 4 membri del Sinodo attraverso l’AP e il consiglio dei vescovi: “Questo invito viene dall’organismo più alto della Chiesa, non c’è bisogno di permessi dall’AP e dal consiglio dei vescovi cinesi. Essendo un invito così pubblico e internazionale, occorre certo un approvazione del governo, ma non dall’AP”.

Liu Bainian e Ye Xiaowen avevano detto che una delle difficoltà per dare il permesso sarebbe la presenza contemporanea di vescovi di Taiwan e della Cina popolare. Mons. Li è candido: “Ho detto alle autorità: il Papa è pastore universale. Egli invita vescovi cinesi da ogni luogo: Cina continentale, Hong Kong,Taiwan, … e il Sinodo non è un fatto politico, ma religioso”.


Ratzigirl
00lunedì 3 ottobre 2005 18:37
I Vescovi nigeriani chiedono il ritiro di un corso sul sesso nei licei, perché “dannoso”



BENIN CITY, lunedì, 3 ottobre 2005


I Vescovi della Nigeria chiedono al Governo il ritiro di un corso di “Educazione Sessuale” inadatto al livello di maturità degli studenti liceali, dannoso per il loro sviluppo etico ed estraneo alla cultura e alle tradizioni africane.

La questione è tra le fonti di preoccupazione raccolte in un comunicato (“Towards Mature Nationhood”) diffuso al termine dell’Assemblea Plenaria della Conferenza dei Vescovi Cattolici della Nigeria (CBCN), svoltasi a Benin City dal 12 al 16 settembre.

Siamo preoccupati per la recente decisione del Governo federale della Nigeria di introdurre nella scuola secondaria inferiore e superiore un corso di Educazione Sessuale dannoso per lo sviluppo etico e morale dei giovani”, si legge nel testo dell’episcopato, firmato dall’Arcivescovo John Onaiyekan – di Abuja, Presidente della CBCN – e dal Segretario dell’organismo, il Vescovo Lucius Ugorji – di Umuahia.

I presuli ritengono che questo corso “non tenga nella dovuta considerazione il livello di sviluppo e maturità dei giovani”, né “la cultura e le tradizioni africane”.

“Desideriamo sottolineare che l’educazione alla sessualità deve essere preferita alla semplice educazione al sesso e che un’educazione di questo tipo non può essere dissociata da principi morali – si legge nel comunicato –. L’educazione alla sessualità affronta il sesso nel contesto dell’amore umano genuino, della famiglia e del rispetto per la vita”.

I presuli ricordano che “i genitori sono i primi insegnanti dei loro figli per quanto riguarda la sessualità” e che la famiglia “fornisce il contesto di dialogo, fiducia, apertura e rispetto idoneo a questo tipo di educazione”, per cui “la funzione della scuola è quella di sostenere ed affiancare questo sforzo”.

“Chiediamo che il Governo ritiri il corso”, scrivono i presuli, esortando anche i genitori, gli insegnanti, i giovani, le organizzazioni e le altre persone di buona volontà a rifiutare “ogni programma che separi l’educazione alla sessualità dai dettami della coscienza e dell’ordine morale”.

Il messaggio afferma che i Vescovi sono disposti a collaborare con il Governo e con gli altri responsabili del settore educativo “per studiare un corso più accettabile”.

Allo stesso modo, i presuli annunciano che verranno intensificati a livello diocesano e parrocchiale i programmi di preparazione al matrimonio “in vista del consolidamento dei valori del matrimonio e della vita familiare”.

Nel comunicato, il Vescovi sottolineano altre preoccupazioni relative alla vita sociale – come l’aumento della violenza, anche contro le chiese –, economica o politica del Paese, che si avvia verso le elezioni politiche del 2007.

In quella data terminerà il mandato del Presidente Olusegun Obasanjo e della maggior parte dei governanti degli Stati della Nigeria, Paese con più di 128 milioni di abitanti (per il 50% musulmani, per il 40% cristiani).

Per questo motivo, i Vescovi esortano Obasanjo ad impiegare l’ultimo periodo del suo incarico “per predisporre una struttura politica più idonea che limiti i tragici esempi di illegalità e i manifesti episodi criminali del passato, assicurando anche elezioni libere e oneste”.

I presuli concludono ringraziando per l’Anno dell’Eucaristia, che si chiuderà il 23 ottobre prossimo insieme al Sinodo dei Vescovi. “Ringraziamo Dio per le grazie che abbiamo ricevuto durante quest’anno come Chiesa e come Nazione”, affermano.

I religiosi assicurano anche il loro ricordo e la loro costante preghiera per Giovanni Paolo II – “che provava un grande affetto per i Nigeriani, dimostrato dalle sue due visite pastorali nel Paese” –, così come pregano per il suo successore, Benedetto XVI.

Il testo integrale del comunicato “Towards Mature Nationhood” della CBCN è stato diffuso mercoledì scorso dalla Congregazione vaticana per l’Evangelizzazione dei Popoli, sulla cui pagina web è possibile consultare il testo in inglese
Ratzigirl
00martedì 4 ottobre 2005 01:57
L’Arcivescovo di New Orleans fa di Internet un punto di incontro per gli sfollati
NEW ORLEANS, lunedì, 3 ottobre 2005




Consapevole delle difficoltà di comunicazione tra gli evacuati di New Orleans – sparsi per gli Stati Uniti – e la sua arcidiocesi, l’Arcivescovo locale sta facendo di Internet un punto di incontro e informazione per tutte le vittime dell’uragano Katrina, che ha colpito la regione costiera del sud del Paese.

In una lettera inviata ad un mese dalla catastrofe, monsignor Alfred Clifton Hughes, che condivide la condizione di evacuato, invita i suoi fedeli di New Orleans ad accedere alla pagina web dell’arcidiocesi (www.archdiocese-no.org) per avere informazioni aggiornate.

“Anche se non avete la possibilità di accesso diretto, forse è possibile attraverso qualche vostro conoscente”, afferma nel suo messaggio, del quale si è fatta eco giovedì la Congregazione vaticana per l’Evangelizzazione dei Popoli (www.evangelizatio.org), diffondendola integralmente.

Nella web diocesana spicca la richiesta a tutti i parrocchiani attuali e precedenti di tutte le parrocchie dell’arcidiocesi di New Orleans di riempire un questionario per elaborare un censo della Chiesa locale. Si prega di indicare la propria situazione attuale e le intenzioni di tornare nella parrocchia di origine.

Ciò risponde alla forte preoccupazione dell’arcidiocesi volta a far sì che i parrocchiani riescano a far fronte alle proprie necessità, visto che si stanno pianificando i bisogni dei fedeli e il futuro della circoscrizione ecclesiastica.

“Come Arcivescovo di New Orleans e come voi evacuato condivido le vostre sofferenze, vi ricordo nelle mie preghiere e vi aiuterò nelle vostre necessità”, ha scritto monsignor Hughes.

“Sono particolarmente grato al Vescovo Muench e alla diocesi di Baton Rouge per il modo straordinario in cui hanno ricevuto più di 200.000 abitanti di New Orleans e hanno favorito lo sviluppo di un’amministrazione centrale in esilio per l’arcidiocesi”, ha aggiunto.

Nella sua “Lettera agli sfollati di New Orleans”, l’Arcivescovo Hughes riconosce che “l’uragano Katrina ha provocato enormi sofferenze per la devastante perdita di vite, case, chiese, scuole e forme di vita”.

“La nostra prima preoccupazione – ha ammesso – è stata per la gente: il suo soccorso, le sue necessità fisiche fondamentali, l’assistenza medica e la comunicazione con i propri cari”.

Per questo motivo, esprime la sua soddisfazione per “lo straordinario lavoro che stanno svolgendo le organizzazioni cattoliche di New Orleans insieme ai servizi della comunità cattolica di Baton Rouge e ad altri enti di assistenza”.

Il presule conferma anche gli sforzi che si stanno compiendo perché tornino in funzione quante più parrocchie e scuole dell’arcidiocesi possibili; un’evoluzione che si può seguire sulla web arcidiocesana.

L’Arcivescovo Hughes ha poi espresso la propria fiducia nel fatto che i pastori delle zone più colpite “continuino a cercare i propri parrocchiani disseminati e a far fronte alle loro necessità”.

Allo stesso tempo, ringrazia anche tutti i sacerdoti che hanno aiutato nei compiti di ricerca e soccorso e nella consolazione dei familiari delle vittime, assistendo gli evacuati in città in cui c’è un’alta concentrazione di abitanti di New Orleans.

“Anche se per l’immediato futuro sarà necessario continuare a guidare la Chiesa da Baton Rouge, stiamo cercando tutti i modi possibili per essere pastoralmente presenti in quelle comunità che hanno ripreso qualche attività, oltre che in quelle sfollate”, ha confermato.

Nel suo programma di visite e celebrazioni del fine settimana in questa area, come “segno di resurrezione della Chiesa a New Orleans”, il presule ha infatti presieduto domenica l’Eucaristia nella cattedrale di St. Louis, la prima che si celebra nella chiesa cattolica del Quartiere Francese da quando l’uragano ha colpito la città.

Il 30% degli abitanti di New Orleans è cattolico.

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